Ci ha creduto fin dal primo momento, andando contro tutto e tutti. Addirittura schiantandosi addosso alla volontà della sua assistita, demotivata dopo l’ennesima batosta chiamata archiviazione. "Non ho mai pensato a come sarebbe andata a finire, ma avevo una certezza: Denis Bergamini non si era suicidato su quella maledetta statale a Roseto Capo Spulico". L’avvocato Fabio Anselmo sorride, sa del colpo ottenuto, forse impensabile fino a qualche tempo fa, dopo 35 anni di battaglie.
Avvocato, prima Aldrovandi, poi Cucchi, processi vinti e che hanno fatto parlare l’Italia intera. Ma non crede che il caso Bergamini, chiuso in primo grado con una sentenza (la prima) storica di condanna, sia forse il più complicato?
"Ogni processo fa storia a sé, ha una sua dinamica e difficoltà. Diciamo che questo di Cosenza è stato pachidermico, trae origine ben 35 anni fa da depistaggi terribili, arrivati fin dai primi momenti. Quelli del ritrovamento del corpo di Denis".
Ha mai pensato di mollare?
"Mai. Ma mi sentivo responsabile nei confronti di Donata".
Si spieghi meglio
"Nel 2015, davanti alla seconda archiviazione, mi disse che voleva mollare. Era finita, basta sofferenza. Le parlai, le dissi che mi sarei fatto fare una relazione dal professor Vittorio Fineschi, un luminare, e che poi avremmo presentato richiesta di riapertura dell’indagine...".
E?
"Da quella relazione emerse che Denis non era stato arrotato dal camion, non era stato trascinato per 40 metri o 18, come qualcuno volle far credere per tutti questi anni, bensì era stato soffocato. Questa era ed è la verità. Quel momento rappresentò la svolta".
Depistaggi fin dai primi momenti, diceva. Quali?
"La versione di Isabella Internò sul suicidio di Denis la quale non ha mai trovato riscontri. La tesi dello sfondamento toracico, al processo il medico che fece quel primo certificato disse chiaramente che non lo rifarebbe più. Per non parlare del camion, dissequestrato senza accertamenti, poi l’orologio e le scarpe senza segni di trascinamento sulla strada, e lo stesso volto di Denis. Integro. Falsa l’ispezione cadaverica del 1989 che certificò lesioni in più parti del corpo. Di fatto non venne mai eseguita".
Non avrà mai pensato di mollare, ma di momenti critici, soprattutto ambientali, ne avrà vissuti in questi anni. O sbaglio?
"No, di momenti critici e duri ne abbiamo vissuti. In queste inchieste e in questi processi, come Aldrovandi e Cucchi ad esempio, non puoi mai essere sicuro di farcela. Personalmente sono sempre andato passo dopo passo, a capo chino. Se guardi l’orizzonte e la meta, ti spaventi. Ma di una cosa sono sempre stato sicuro al 100%".
Che Denis non si era buttato sotto il camion volontariamente...
"Esatto. Non si poteva essere suicidato e la tesi della ex fidanzata, era illogica".
La difesa della Internò ha già annunciato che impugnerà la sentenza
"Ci saranno altri due gradi di giudizio, ma oggi sul suicidio si è messa definitivamente la parola fine. Senza dimenticare che la Procura di Castrovillari dovrà valutare la posizione di un cugino dell’imputata in relazione all’omicidio. Oltre a una serie di false testimonianze".
La cosa più bella che si porta a casa?
"La vicinanza degli amici di Denis, l’impegno delle mie colleghe di studio, Alessandra e Silvia, la professionalità e la voglia di verità della Procura. E Donata".
Cosa le ha detto alla lettura del dispositivo?
"Mi ha abbracciato in lacrime così forte dicendomi ’grazie a nome di Denis’. Sono io che ringrazio lei per avermi ascoltato e seguito".