"La nostra comunità è preoccupata e angosciata. Ma non si affievolisce la speranza di un futuro migliore". è una forza dirompente, quella che sgorga dalle parole del rabbino capo Luciano Meir Caro. La pacatezza del tono non nasconde un turbamento profondo. Sono le espressioni gravi, che colpiscono sul volto di un gioviale. Ma non c’è rassegnazione. Quella mai. Perché Israele "non voleva questa guerra, ma deve potersi difendere. Non può perderla perché è in gioco la sua e l’esistenza del suo popolo". Anche il presidente della Comunità Ebraica, Fortunato Arbib è visibilmente scosso. L’anniversario del sette ottobre è dolorosissimo. Non solo per "il massacro compiuto ai danni di oltre mille civili israeliani", ma soprattutto perché "già da poche ore dopo l’episodio, c’è chi ha tentato di giustificarlo, risvegliando un sentimento antisemita che si pensava appartenesse al passato". Per la verità, alcuni lo pensano ancora. Invece bastava guardarsi attorno ieri sera, nella meravigliosa sinagoga tedesca di via Mazzini, per rendersi conto di come il terrore di quello che è accaduto possa tornare. Arbib parla della "più grande carneficina dalla Shoah a oggi". E – manco a dirlo – c’è ancora chi giustifica il tutto parlando di "resistenza". Riuscendo così nella mirabolante impresa di infangare uno dei valori sacri sui quali si incardina la nostra Repubblica. La Resistenza, appunto.
Sono diversi, sia da parte del presidente, che da parte del rabbino Caro, i parallelismi con lo sterminio nazista. La matrice di questa "nuova ondata d’odio" del resto è comune. "Hanno imbrattato la statua di Anna Frank in Olanda – ricorda il rabbino – hanno esposto cartelli oltraggiosi contro la senatrice Liliana Segre e contro Sami Modiano, entrambi sopravvissuti all’Olocausto. È tornato l’odio verso l’ebreo in quanto tale". A lenire, in parte, le profonde inquietudini degli ebrei di oggi, c’è "il grande lavoro delle forze dell’ordine che garantiscono la nostra sicurezza". Resta il fatto che la ferita del 7 ottobre resta profonda. Ha segnato uno spartiacque. Un po’ come fu l’ottobre dell’82. L’attentato al tempio maggiore di Roma e che causò la morte di Stefano Gaj Taché. Aveva due anni. "Pensavamo di non dover più assistere a queste efferatezze – riprende Caro – . Non dobbiamo illuderci del fatto che sia un episodio isolato: l’antisemitismo sta dilagando. Poi è un crescendo, che riguarderà via via tutti: non solo gli ebrei". Ma c’è di più, qualcosa di profondo che sembra essere inarrestabile e che si concretizza nelle manifestazioni di piazza a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni con scontri violentissimi e agenti aggrediti. "Dietro le dichiarazioni contro il governo di Benjamin Netanyahu – scandisce a chiare lettere Arbib – si cela, in verità, un odio viscerale contro gli ebrei. E contro Israele". Uno stato che "ha tutto il diritto di vivere in pace". Una parola che suona, al momento, come un miraggio. A maggior ragione a fronte di centinaia di persone che espongono cartelli in cui auspicano la "Palestina libera dal fiume al mare". I momenti di raccoglimento, ieri sera, sono stati scanditi dalla lettura da parte del rabbino di tre salmi (il 3, il 70 e l’83) e da alcuni canti. Il primo, per la pace. Il secondo – da brividi – Hatikvah. L’inno israeliano, che significa speranza. Fa un po’ specie l’assenza pressoché totale della politica e dell’amministrazione. Eccetto il coordinatore di +Europa, Paolo Niccolò Giubelli e lo storico militante radicale, Mario Zamorani. Una bellissima kippah giallo antico, ricamata in testa. "Era di mio nonno". Sempre lì. Ora come allora.