"Era notte, in campagna un silenzio sospeso, solo nebbia. Abbiamo sentito i cani abbiare, più volte, erano molto agitati. Non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di uscire per vedere cosa stesse succedendo. Qui ormai abbiamo paura un po’ tutti. E poi uscire per fare cosa? Se spari magari con il fucile a passare i guai sei tu", Domenico Guerra, 77 anni, abita a Bondeno, in via Ferrarese. Una grande casa bianca. Davanti c’è un recinto per i cani, uno spazio per le capre protetto da una staccionata, la stalla con i cavalli. Ci sono anche i pavoni. Che sembrano ancora avvertire qualcosa, sono spaventati. Se ne stanno appollaiati tra i rami degli alberi. C’era veramente qualcuno l’altra notte nel cortile dell’abitazione. I lupi in tre raid successivi hanno ucciso tutte le oche, erano nove.
La paura degli agricoltori si misura in quei recinti rinforzati, nelle reti messe in fretta e furia, nei cani che la notte vengono lasciati liberi. "Perché di uscire non se ne parla proprio", ripete. Succede nelle campagne di Bondeno, in una corte poco lontana a Mirabello, a Sant’Agostino (adesso si chiama Terre del Reno). In un pratone di un ettaro c’erano tre capre con due cuccioli nati da appena un giorno, una decina di oche e galline. Non è rimasto più nulla. I lupi, da quel branco formato da una coppia e cinque cuccioli filmato da un telefonino a Campotto nel 2020, vengono avvistati ormai un po’ ovunque. Foto e video arrivano a macchia d’olio da Ostellato, Portoverrara (Portomaggiore), Gualdo. Ancora. Da Vigarano, Poggio – qui è stato trovato un lupo morto lungo la strada, investito – Terre del Reno, Bondeno, Dosso. Da Cona, Sant’Egidio e San Martino. Anche Michele Gallerani, il proprietario di quelle capre come bambole rotte nel prato, è riuscito a vederlo. Lo ha filmato mentre trotterellava in un campo arato. Il giorno dopo, la strage. Una parola che pronuncia anche Rosanna Alberti. Abita con il marito e la figlia Angelica a Mirabello. Da lì si vedono i capannoni dell’impresa Lodi, il cancello di ferro battuto con impresso il nome. Racconta, nelle sue parole rabbia, impotenza, il dolore per quegli animali morti. "Avevano i segni dei denti nel collo", dice, scuotendo la testa. Tecniche di caccia di un predatore che è in cima alla piramide. Una volta avvicinata la preda, la atterra con morsi ai quarti posteriori o ai fianchi, per poi ucciderla con un morso alla gola. Tre i raid nella corte, nel recinto dove fino a qualche giorno fa c’erano sette pecore. Di nuovo la sua testimonianza, mentre con la mano indica lo spazio ora vuoto, desolato. Inutile quella rete tutta attorno. "Sono venuti tre volte, per tre notti i cani hanno abbaiato. E la mattina l’amara sorpresa. Ogni volta ne mancava qualcuna, gli animali sopravvissuti sembravano terrorizzati", la cronaca di un assedio finito male, anche per un agnello. "Abito qui da una vita, una cosa del genere non era mai successa. Mai", urla quasi, i campi che sembrano risvegliarsi solo ora, un velo di foschia ancora nell’aria dopo una notte di nebbia densa come uno straccio. "Le galline ancora ancora si salvano, adesso non dormono più nel pollaio. Se ne vanno sugli alberi, tra i rami. Siamo preoccupati, molto preoccupati. E’ impossibile proteggere i nostri animali, dovremmo mettere delle reti di due metri, infisse in profondità nel terreno". Come quelle che hanno piantato Domenico Guerra e la moglie Teresa. Nella corte c’è Alfio Gherardi, un amico, fa parte dell’associazione ’Amici del Po’. "Abbiamo la barca, peschiamo un po’. Poi magari facciamo qualche cena. Io il lupo l’ho sentito, lungo l’argine". "Ho alzato la rete qui davanti, dietro il recinto ho messo alcune palizzate. E’ un punto che si affaccia sulla campagna, il lupo potrebbe passare da lì", guarda verso l’orizzonte Domenico Guerra, un orizzonte piatto come una tavola fatto di campi di grano, qualche frutteto, il grigio di un boschetto. Non ci crede nemmeno lui, che quelle barriere possano funzionare. "Per fortuna i cavalli sono al sicuro nella stalle, almeno loro stanno tranquilli", dice.
I ricercatori dell’università – c’è un progetto di studio proprio sul lupo di pianura – dicono che ce ne saranno una decina sparsi nelle nostre campagne, da Cento a Comacchio. Da queste parti non ci crede ormai più nessuno. Non ci crede di sicuro Sergio Frasson, per anni presidente provinciale Enalcaccia. "La prima covata è stata probabilmente quella di Campotto, da allora ce ne sono state altre. Nel Mezzano, poi ce n’è una anche a Jolanda di Savoia, nell’Alto Ferrarese. Voglio stare, diciamo così, basso, molto basso. La popolazione di lupi si aggira almeno su una cinquantina di esemplari in tutta la provincia, ci metto la mano sul fuoco. Ormai l’hanno colonizzata tutta, va studiato un piano di controllo. Al più presto".