Ferrara, 5 dicembre 2023 – Al cancello da anni in disuso di via Colombana Nuvolè, arrugginito e reso cigolante dal tempo, resta ancora appeso ciò che resta del piccolo Babbo Natale di peluche che l’allora padrona di casa aveva messo in vista delle festività. Si chiamava Giada Anteghini, 27 anni da Jolanda di Savoia, minuscolo paese inghiottito nel basso ferrarese. Un campanile, una piazza, un paio di bar e poco altro.
Lì dove esattamente 19 anni fa – era il 24 novembre 2004 – la ragazza venne aggredita nel sonno, proprio nella stanza accanto a dove dormiva la figlioletta Giorgia. Una mano assassina che, con un oggetto contundente, la colpì alla testa rendendola un vegetale per 400 lunghi giorni prima di passare a miglior vita. "Ricordo ancora quel giorno – sussurra commosso il fratello, Simone – quando al telefono nostra madre mi disse: se vuoi vedere ancora ciò che resta di tua sorella, corri in rianimazione perché non so quanto vivrà".
Giada, come Giulia Cecchettin e come le tante, troppe, altre donne vittime di femminicidio. Ma con un’enorme differenza: a oggi manca ancora il nome di chi la massacrò. Una storia assurda, agghiacciante, con l’ex marito di Giada, Denis Occhi, arrestato e liberato, reo confesso e dichiaratosi innocente, condannato a 20 anni in primo grado, poi assolto in Appello con sentenza passata in giudicato perché mai impugnata. Assolto anche nel processo che lo vedeva imputato per vecchie minacce rivolte alla donna prima della tragedia. Motivo? Intervenuta prescrizione.
Simone, a leggere le sentenze, il mostro di sua sorella fu un fantasma, o il killer perfetto...
"Sono stati commessi troppi errori, come è possibile passare da 20 anni a zero? E perché la procura generale non impugnò la seconda sentenza? La giustizia, nel mio caso, non esiste. Io so chi è stato, lo sanno tutti, a uccidere mia sorella...".
Ma per la legge italiana quell’uomo, il suo ex marito, è innocente...
"Perché allora prima confessò, poi ritrattò e attese che la sentenza diventasse definitiva per presentarsi in Questura, sparare a zero sugli inquirenti dicendo che non ’avevano capito un c...’, e che ad ucciderla fu lui? Quella testimonianza fu ricca di dettagli che nessuno, fino a quel giorno, sapeva".
Il ne bis in idem parla chiaro: no a un nuovo giudizio per l’imputato assolto.
"Appunto, io dovrei credere ancora nella giustizia italiana? Mia sorella lo denunciò nei giorni precedenti, aveva paura. Non venne protetta dallo Stato, dalle forze dell’ordine, da procure e tribunali".
L’indomani della tragedia di Giulia Cecchettin, lei ha scritto in un post di aver rivissuto l’incubo.
"Istante dopo istante. Il rimorso di aver tenuto il cellulare spento quella maledetta notte, le lacrime, il dolore, la paura, la rabbia. Ogni giorno non cambia nulla e le donne continuano a morire".
Cosa fare?
"Parlarne sempre, scriverne sui giornali, tenere alta l’attenzione non solo il giorno dell’evento e i due successivi. Tenere sotto pressione gli inquirenti, la burocrazia, le associazioni, le famiglie, i governi. Una donna uccisa non è uno spot di due giorni, è l’ora si smetterla di dire ’ora basta’ e poi fregarsene".
Cosa ricorda di quel giorno?
"Entrai in un bar, un amico mi chiese come stava Giada, risposi ‘bene, l’ho sentita l’altra mattina’. Lui abbassò la testa, mi fece cenno di guardare la tv. Mi sentii morire".
Sua nipote, la bimba che dormiva accanto a Giada la notte dell’aggressione, e figlia di Occhi, aveva 4 anni. Come sta?
"E’ uno spettacolo, oggi di anni ne ha 24, ha cambiato cognome in Anteghini. Si è laureata e poche settimane fa mi disse: zio, se vuoi ti aiuto io a rileggere le carte e cercare di riaprire il caso della mamma".
Lei crede ancora nella verità?
"Non ho mai smesso. Davanti al letto ho la foto di mia sorella che mi guarda. Per l’ennesima volta mi rivolgo a chi abbia voglia di riprendere in mano tutto e aiutarmi. In quelle carte processuali l’errore c’è e bisogna trovarlo".