REDAZIONE FERRARA

"Gli autori del manifesto non sono eroi immacolati ma uomini da ammirare"

Caro Carlino, conoscevo abbastanza bene la figura di Altiero Spinelli (a cui Ferrara ha dedicato il ponte che ancor oggi molti...

Caro Carlino, conoscevo abbastanza bene la figura di Altiero Spinelli (a cui Ferrara ha dedicato il ponte che ancor oggi molti ferraresi chiamano “ponte dell’Impero”), ma poco sapevo di Ernesto Rossi, co-autore del “manifesto di Ventotene”, poi curato e pubblicato da Eugenio Colorni, di cui tanto si parla in questi giorni. Consultando l’Enciclopedia Treccani ho letto che Ernesto Rossi, volontario nella prima guerra mondialle, fu un giovane ex combattente vicino alle idee del primo fascismo. Collaborò a Il Popolo d’Italia con articoli di argomento tecnico-politico (la riforma della proprietà fondiaria, il protezionismo doganale, la riforma della scuola), non disdegnando tuttavia di formulare giudizi drastici sulla ‘triste casta chiusa’ dei parlamentari, che doveva lasciare il passo agli ‘uomini nuovi’, provenienti dalle trincee. Nell’articolo Chiarificazioni spirituali, pubblicato il 1° giugno 1921, espresse la determinazione a "ubbidire ciecamente" a un "duce", provvisto di "qualità adatte al comando". Mi sembra che qualche traccia di tali parole emerga anche in relazione alla scarsa simpatia per la democrazia parlamentare e a proposito della “dittatura rivoluzionaria” auspicata nel “manifesto di Ventotene”, pur essendo doverosa la contestualizzazione storica di quelle affermazioni. Ciò detto, non voglio gettare la croce su Ernesto Rossi, che - come tanti - fu inizialmente abbagliato da Mussolini (capitò anche ad Arturo Toscanini, tanto per fare un esempio), ma poi scelse coraggiosamente la via dell’antifascismo quando tale scelta era gravida di rischi e di pericoli. Non fu, insomma, un antifascista di comodo dell’ultima ora. O del “dopo-Liberazione”... Resta il fatto che collaborò al “Popolo d’Italia” fino alla “marcia su Roma”. Traducendo le vicende nazionali in ambito locale, potremmo dire che sarebbe stato, fino all’ottobre del 1922, dalla parte di Italo Balbo e dei suoi squadristi. Credo, per concludere, che occorra sempre evitare distinzioni manichee rinunciando a quella “storia giustiziera” condannata - a ragione - da Benedetto Croce. Le vicende di uomini come Ernesto Rossi, infatti, ci insegnano che tutti possono aver commesso errori di valutazione,poi corretti, senza per questo dover essere messi all’indice. E ci insegnano pure che gli autori del “manifesto di Ventotene” non sono eroi immacolati senza macchia nè paura, ma uomini da ammirare - pur con i loro trascorsi e i loro difetti - per le idee originali che hanno elaborato, senza che per tal motivo diobbiamo sentirci in dovere di mitizzarli o di santificarli. Grazie per la pubblicazione Mauro Marchetti