Bandiere e disperazione davanti alla sede di Confindustria in via Montebello. Quella di Patrizia Trombini, attorno al collo la bandiera verde della Cisl, due figlie di 13 e nove anni che ancora studiano. "Non abbiamo parole", dice. E’ una dei 77 licenziati della ex Tollok, così viene chiamata ancora la Regal Rexnord di Masi Torello. L’incontro tra i vertici dell’azienda e i sindacati nella sede di Confindustria è in corso. Ma lei, come gli altri operai che a gruppi affollano la piazzetta, ha poche speranze. "Non ci aspettiamo nulla di buono", sottolinea. Nulla di buono nemmeno per suo marito, Ivan Boarini, che lavora alla Berco. L’azienda ha annunciato un piano per la sede di Copparo di 480 esuberi. Tanti, troppi per una provincia che perde pezzi. Striscioni e disperazione, come quella di Ilaria Zanella, da 5 anni alla ex Tollok; di Tiziana Carli, che lavora nell’azienda di Masi Torello dal 2015; di Salvatore De Cristofori, sette anni in reparto. "Mi hanno strappato tutti i miei progetti, i miei sogni", la frase si perde nel brusio della piazza, dove si misura l’attesa nelle auto che passano, poco lontano il traffico di Corso Giovecca. L’incontro si trascina. Attorno al tavolo ci sono Stefano Bondi, segretario Fiom, Chiara Zambonati funzionaria Fiom, Patrizio Marzola, segretario Fim, Martina Rinaldi funzionaria Fim, Emanuela Campi Uilm, Veronica Tagliati segretaria della Cgil, Massimo Zanirato, segretario della Uil; Patrizio Marzola segretario Fim Cisl Metalmeccanici. Con loro i delegati della Rsu di Fiom, Fim e Uilm. Per l’azienda Crisitina Bertoli, hr manager Regal Rexnord. Everardo Martini di Confindustria.
Quello che gli operai già sanno, le dita incrociate a un filo sottilissimo di speranza, avviene. "L’azienda è venuta a dirci che chiudono lo stabilimento, la produzione verrà portata in Cina e in India", afferma Stefano Bondi, segretario Fiom. Massimo Zanirato prende la parola: "Dalla pec scattano 75 giorni, al termine dei quali c’è il licenziamento. Abbiamo chiesto all’azienda di toglierci questa pistola dalla tempia, quella della chiusura e dei licenziamenti. Hanno detto no, a quel punto si è rotto il tavolo". Patrizio Marzola (Fim Cisl): "In Emilia c’è un patto, si chiama patto per il lavoro. Non si chiude dalla mattina alla sera un’impresa e si mandano a casa i dipendenti". Il presidio davanti all’azienda andrà avanti ad oltranza. "Fino a quando non verranno ritirati i licenziamenti", dicono i sindacati, parole che annunciano future lotte, un autunno caldo. La questione verrà affrontata in Regione, ad un tavolo con azienda e sindacati, il 15 ottobre. Sarà presente l’assessore Vincenzo Colla.
Patrizia Trombini, gli occhi lucidi, piega la testa per nascondere la commozione. Racconta: "La mattina siamo andati a lavorare, doveva essere una giornata come tante. Non è stato così, ci hanno chiamato i sindacati per dirci che ci avevano licenziati. L’azienda ha affisso una circolare in officina, c’erano le mansioni, una dopo l’altra, i nostri nomi in quell’elenco. Perché non ci hanno convocato, perché non hanno parlato con noi? Magari per proporci di lavorare fino a Natale". Da quella lettera scattano 75 giorni, due mesi e mezzo. Poi addio lavoro, saranno a casa. Ad aspettare quella che sarà una fumata nera, in piazza con gli operai, l’assessore regionale al Bilancio, Paolo Calvano, il segreterio provinciale del Pd Nicola Minarelli. Facce cupe, la delegazione esce dal palazzo di Confindustria. Paola, Ilaria, Tiziana, Salvatore, i tanti nomi della disperazione.
Mario Bovenzi