Oggi alle 20.30 andrà in scena al Teatro Comunale di Ferrara ‘Quando un musicista ride’ con Elio. Giocare e ridere con la musica e le canzoni, impresa facile per Elio e la sua band di giovanissimi virtuosi.
Che ritorno sarà a Ferrara?
"Ferrara è una città che a me piace moltissimo, dove sono venuto spesso sia con il gruppo che a teatro. Sono anche appassionato di storia e arte e Ferrara in questo senso è una città che offre tanto. Ora torno con questo nuovo spettacolo che si può considerare la continuazione del precedente dedicato a Jannacci e che è andato benissimo. Così abbiamo pensato di continuare su quella strada con uno spettacolo che parte dagli stessi stimoli ma allarga il cerchio".
Che spettacolo sarà?
"C’è ancora Jannacci, ma aggiungiamo Giorgio Gaber, Dario Fo, Cochi e Renato, c’è un pezzo dei Gufi e ci sono alcuni brani parlati di Serra, di Eco. È il mondo della Milano di quegli anni che non suona per niente vecchio. Anzi è avanguardistico".
Perché trattano temi attuali?
"Non solo. E’ che il pubblico si è disabituato alla libertà creativa di quel periodo. Gaber in ‘Benzina e Cerini’, parla di una donna che dà fuoco a lui in un gioco fra amanti: una cosa che oggi nessuno oserebbe scrivere. Questa libertà è sparita e vuol dire che abbiamo fatto dei passi indietro. E mi piace molto vedere la reazione degli spettatori che è quasi sempre meravigliata. L’arte non deve avere limiti che invece vengono messi".
Si è mai dovuto censurare?
"No, fortunatamente ho sempre avuto una vita artistica piuttosto libera, fortunata. Ma noto che negli ultimi anni accade, soprattutto in rete dove c’è una specie di tribunale di internet che mette in piedi processi sommari e condanne in un giorno per poi passare ad altro. I giovani creativi contemporanei vivono in un ambiente complicato".
Quando un musicista ride?
"Fortunatamente molto spesso perché suonare è un gioco, è molto bello, ci si diverte molto".
Lei, invece, cosa la fa ridere? "Questi personaggi che porto in scena e quell’umorismo milanese molto surreale e assurdo degli anni 70- 80. Ciò che mi fa molto ridere è sempre l’assurdo. Di solito i musicisti quando sentono ridere rimangono straniti, invece in questo caso vado sulla scena e il mio scopo è di far ridere, perché so quanto sia bello. Sentire la platea che ride è il più grande premio che possa esserci".
Quando smette di farlo?
"Quando la sua arte non viene trattata come tale.Accade molto spesso in Italia, si tende a sminuire quelli che suonano. Poi con l’invasione del rap e della trap suonare e cantare è diventato un optional. In genere però il musicista se ne frega".
Ciò che fa riflettere è la sua lotta per l’autismo, giusto?
"È una grande fatica anche fare in modo che se ne parli. Quando è nato mio figlio ho capito che era necessario parlarne, per tutti quelli che vedo intorno a me che sono in difficoltà terribili. C’è da fare ancora tutto. Esiste solo ciò che fanno alcuni genitori che hanno avuto la forza di mettere in piedi attività per i propri figli ma il grande assente è lo Stato. E bisogna arrivare a fare in modo che lo Stato garantisca a tutti le terapie necessarie".