Lo aveva detto sin da subito. Con quella macchina stracarica di droga lui non c’entrava nulla. Sebbene ne fosse formalmente l’intestatario, era ignaro dei traffici per i quali veniva utilizzata da altri. Una spiegazione che, alla fine, ha convinto anche il giudice. Finisce così l’incubo nel quale era piombato un 23enne ferrarese, finito a processo per spaccio e assolto. Il giovane doveva rispondere di dieci chili di hashish e marijuana nascosti in un’intercapedine ricavata all’interno di una Citroen C5 parcheggiata in via Fabbri e scoperta dalla polizia a maggio. La lente degli investigatori si è subito concentrata sul ragazzo, risultato essere l’intestatario della vettura. Sin dal primo momento, il 23enne aveva spiegato come stavano le cose: si era intestato la macchina per fare un favore a due amici che, in cambio, gli avevano dato del denaro. Da quel momento in poi non ne aveva più saputo nulla.
Ma per rafforzare questa versione e sfuggire a una condanna ci volevano prove solide. Elementi che sono emersi solo al termine delle indagini difensive coordinate dai difensori del 23enne, gli avvocati Denis Lovison ed Elena Smanio. Il lavoro dei legali si è dipanato su diversi fronti, dall’acquisizione dei tabulati telefonici da ‘collocare’ su una mappa alla richiesta di immagini delle telecamere autostradali che cristallizzassero i movimenti dell’auto e chi era effettivamente al volante, passando per le verifiche con il cianoatrilato, metodo impiegato per ricercare impronte digitali latenti. Il momento della verità è arrivato ieri pomeriggio, dopo la discussione in aula. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a tre anni di reclusione, oltre a settemila euro di multa, mentre i difensori hanno insistito per l’assoluzione. Il giudice Carlotta Franceschetti ha accolto l’istanza dei legali, assolvendo il ragazzo e revocando la misura cautelare a cui era sottoposto. "Ci fa piacere che il giudice abbia superato il vulnus nelle indagini e abbia capito che il ragazzo non c’entrava nulla" ha commentato l’avvocato Smanio. Lovison ha espresso la propria soddisfazione specificando come la sentenza sia "frutto di un grande lavoro difensivo che ha costituito numerose prove a discarico del nostro assistito".
Federico Malavasi