"Lei riapre una ferita ancora dolorosissima dopo così tanto tempo". La voce di Marco Tartari, 81 anni, è debole e rimanda il dolore che l’efferata morte di sua fratello Pier Luigi, 73 anni, ucciso di botte per mano di tre rapinatori, a settembre 2015. Sono trascorsi nove anni, ma quella ferita non si è rimarginata. Forse non lo sarà mai. E da alcuni giorni si è riaperta. L’arresto di Ruzena Sivakova, conosciuta come mamma Rosy, avvenuto giovedì a Canaro, in provincia di Rovigo, ha fatto tornare vividi i ricordi di quel maledetto settembre, quando il fratello fu rapinato e ucciso nalla sua casa di Aguscello, e poi abbandonato in fin di vita o già morto in un casolare in aperta campagna, dove fu trovato 17 giorni dopo. "Che cosa vuole che le dica – prosegue Tartari – il mio cuore sanguina ancora dopo così tanto tempo. Posso solo invocare la giustizia divina. E poi non mi va di dire altro". Più che comprensibile, ogni parola in più è una fitta al cuore.
L’appello. Di contrasto, dal carcere della Dozza, dove da tre giorni è rinchiusa Rosy, arriva l’appello della donna, tramite il suo legale, l’avvocato Patrizia Micai. "Sono preoccupata per mio figlio – ha confessato al suo avvocato – l’ultima volta che l’ho visto l’ho trovato troppo dimagrito". Suo figlio è Patrick Ruszo, che sta scontando l’ergastolo a Ferrara, perché ritenuto uno dei tre componenti della banda che il 9 settembre 2015 rapinò e sequestrò da Aguscello, per poi abbandonarlo imbavagliato e legato in un casolare di via Pelosa dove morì, Pier Luigi Tartari. Mentre Rosy, che all’epoca lavorava come badante nella porzione di casa accanto a quella della vittima, è stata a lungo sospettata di essere il ’gancio’ della banda che oltre il figlio era composta da Ivan Pajdek – capo del gruppo, condannato a 30 anni – e Constantin Fiti, suicida in carcere, dopo la condanna all’ergastolo, lui che si era sempre dichiarato innocente. Di non avere nulla a che fare con l’omicidio di Tartari. Non è stato creduto. E dopo la pena si è suicidato in carcere.
L’arresto. Mamma Rosy, finita nelle indagini sull’omicidio perché tirata in ballo anche da Pajdek stesso, è stata arrestata perché deve scontare una condanna a quattro anni e quattro mesi per falsa testimonianza e ricettazione. Falsa testimonianza proprio nell’ambito del processo ai tre rapinatori, tra i quali suo figlio, perché davanti alla Corte di assise ha dichiarato "Non ho sentito nulla, nulla di nulla", e che non aveva neanche potuto vedere, perché tra le due abitazioni c’era una siepe divisoria, che impediva la vista. Affermazioni che durante il processo per falsa testimonianza sono state ritenute non veritiere e in contrasto con quanto la stessa Rosy aveva raccontato a una vicina di casa e testimone nel processo, alla quale lei aveva detto di avere sentito le urla di Tartari, che diceva "Lasciatemi stare....non ho nulla". Mentre l’accusa di ricettazione è dovuta a un televisore che i carabinieri nel corso delle indagini sul delitto trovarono sotto il letto in camera di Rosy, e che era il provento di una delle numerose razzie messe a segno all’epoca nelle campagne della provincia, dalla banda Pajdek, come abbiamo detto ’mente’ del gruppo, con un tot di alias, e amico di Igor Vaclavic, al secolo Igor il Russo, pluriomicida, assassino del barista Davide Fabbri e di Valerio Verri.