Il giorno dopo è proprio un "the day after", perché arrivare a martedì alle 19, per sentir pronunciare da una Corte di assise che Donato Denis Bergamini è stato ucciso e poi gettato sull’asfalto per farlo investire e fingere il suicidio, ci sono voluti 35 terribili anni di lotta, dolore e sacrifici che avrebbero fatto gettare la spugna a molti, ma non a lei, la sorella Donata. Quelle parole pronunciate dalla presidente Paola Lucente hanno squarciato aula e coscienze e hanno fatto crollare per alcune ore Donata in lacrime di felicità. Il giorno dopo però insieme a quella felicità, che rimane, è spuntata anche la rabbia. "È stata una notte insonne, gioia e rabbia mischiate – confessa Donata – Gioia per questa verità scritta, rabbia per i 35 anni di inferno che ho dovuto oltrepassare a causa di chi doveva fare luce prima e non lo ha fatto". Già trentacinque anni a rincorrere una verità chiara nella sua mente e in quella di molti che ne sono stati coinvolti, in tantissimi atti e dichiarazioni ma che sembrava voler sempre sfuggire.
Tra coloro che sono più contenti di questa verità c’è sicuramente Michele Padovano, ex calciatore che dopo il Cosenza ha militato anche nella Juventus, e che in quel maledetto 1989 era compagno di squadra e di stanza di Bergamini. Lui spesso è stato tirato in ballo, l’ultima volta lunedì scorso nell’arringa della difesa dell’imputata, Isabella Internò, ex fidanzata di Bergamini, condannata a 16 anni di reclusione per il concorso nell’omicidio premeditato del calciatore. Tirato in ballo come la "possibile causa della stato depressivo di Bergamini, che poi lo aveva portato al suicidio, perché Padovano lo aveva indirizzato su una cattiva strada".
L’ex calciatore martedì presente in aula insieme ai compagni di quel Cosenza, Gigi Simoni e Alberto Urban è tranquillo. "Ho già dato mandato ai miei avvocati di acquisire le trascrizioni dell’udienza – spiega Padovano – e se ci saranno gli estremi per querelare lo faremo, come abbiamo fatto nei confronti di tutti coloro che hanno detto cose a sproposito". Senza rancore, ma con determinazione. Poi il pensiero vola a Denis "Finalmente è arrivata una sentenza giusta. A me non interessa della condanna – aggiunge l’ex Juventino – perché non sono un giustizialista, ma finalmente è stata restituita dignità a noi che gli volevamo bene, ma soprattutto alla famiglia che ha combattuto in tutti in questi anni per un verità che non era mai saltata fuori in questi termini". Un rammarico? "Mah forse se quel sabato avessi insistito di più nel farmi dire, considerando che lo vedevo strano. Però indietro non si torna e io all’epoca ero poco più che ventenne. Se avessi potuto dargli una mano sicuramente lo avrei fatto, per il bene che ho voluto a questo ragazzo sfortunato che ha perso la vita molto giovane. La sentenza gli dà finalmente la dignità che merita".