FEDERICO MALAVASI
Cronaca

Cugini uccisi e bruciati a Ferrara, la figlia di una delle vittime: “Voglio la verità su mio padre”

Parla per la prima volta Sara Benazzi, figlia di Riccardo, assassinato a fucilate e dato alle fiamme il 28 febbraio 2021. Insieme a lui venne ucciso anche l’inseparabile Dario

Sara Benazzi con l’avvocato Massimiliano Sitta

Sara Benazzi con l’avvocato Massimiliano Sitta

Ferrara, 25 febbraio 2023 – I corpi di Riccardo e Dario Benazzi, cugini di 64 e 70 anni, furono scoperti completamente carbonizzati sul sedile posteriore della Volkswagen Polo con cui avevano raggiunto il territorio di Italba. Era la tarda serata di domenica 28 febbraio del 2021 quando un residente allertò i vigili del fuoco per un rogo nelle campagne di Rero. Vicino al cimitero. Solo dopo aver domato le lingue di fuoco, furono scoperti i due corpi, composti, seduti uno accanto all’altro. Prime ipotesi di indagine: omicidio-suicidio o addirittura duplice suicidio. Salvo poi scoprire, dopo l’autopsia, che nei corpi di entrambi c’erano rimasti pallini sparati da un fucile da caccia calibro 12: entrambi, quindi, prima uccisi con alcuni colpi a Italba – dove i Benazzi erano andati a smontare il prototipo di impianto eolico progettato da Riccardo – poi i corpi trasportati nella loro auto ricoperta di legna e data alle fiamme, ore dopo il delitto, nelle campagne di Rero. Da maggio dello stesso anno per il duplice omicidio e la distruzione di cadavere, sono indagati Filippo e Manuel Mazzoni, padre e figlio di 49 e 21 anni che all’epoca vivevano in un casolare vicino al luogo del delitto. Da sempre si dichiarano innocenti. Si attende la chiusura delle indagini

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Tra le fiamme di quell’auto abbandonata nelle campagne di Rero ha perso il padre. Oggi, a quasi due anni dalla tragedia, ha finito le lacrime. Ma non la forza per chiedere giustizia e risposte. Sara Benazzi, figlia di Riccardo, assassinato a fucilate e dato alle fiamme il 28 febbraio del 2021 insieme al cugino Dario, parla per la prima volta da quella maledetta domenica.

Benazzi, che ricordo conserva di suo padre?

"Mio padre non era un sentimentale. Era una persona molto concreta, ma anche un grande sognatore. Lavorava al progetto eolico da trent’anni. Leggeva sempre, si informava. Faceva il camionista e nei suoi numerosi viaggi all’estero aveva imparato molto sull’energia innovativa. Voleva portare il tema anche qui da noi".

Come erano i rapporti tra di voi?

"Non ci vedevamo da un po’ di tempo. Avevamo discusso nel 2018 e lui era uscito da casa mia sbattendo la porta. Poi il silenzio. Mi mandò però un messaggio per i miei quarant’anni. Non era una cosa da lui, quel gesto mi colpì molto. Nonostante tutto gli ho voluto tanto bene, è stato il mio punto di riferimento. Mi manca molto".

Che uomo era Riccardo Benazzi?

"Quando perseguiva i suoi obiettivi non pensava a quello che aveva intorno. Andava dritto per la sua strada. Un carattere irruento che gli attirava addosso anche inimicizie e invidie. E non posso escludere che proprio quel carattere ‘spigoloso’ sia stato all’origine della sua fine".

Tra i suoi obiettivi c’era anche il progetto per l’impianto eolico, lo stesso impianto davanti al quale ha trovato la morte insieme al cugino.

"Era il suo sogno. Quel progetto doveva portarlo a termine insieme a suo figlio, mio fratello. Poi però Nicola morì a 19 anni in un incidente stradale. Era il 2005. Vedere quel progetto non andare a buon fine per lui è stato come vivere per la seconda volta la morte del figlio".

Torniamo a quel giorno di febbraio di due anni fa. Che cosa ricorda?

"Quella domenica mi ero svegliata normalmente. Stavo bene. Poi, a un tratto, mi sono sentita mancare. Senza un vero motivo".

Quasi un presagio...

"Sì. Poi nel pomeriggio mi hanno chiamato le mie cugine, le figlie di Dario, e mi hanno detto che non riuscivano a rintracciarli al telefono. Che mio padre non rispondesse era abbastanza normale. Era fatto così. Ma Dario no. Così abbiamo iniziato a cercarli. Mio marito ha perlustrato tutta la zona di Rero. Guardava nei canali, vicino agli alberi. Pensavamo a un incidente. Io sono andata da mia cugina a Pontelangorino".

E poi?

"Poi ci hanno chiamate i carabinieri e siamo andate in caserma a Migliarino. Da lì, sono andata sul posto e ho notato il fuoco, altissimo in mezzo ai campi. Quando ho visto la sagoma della macchina, la Volkswagen Polo, ho capito tutto. Ho cercato di non perdere il controllo. È stata durissima".

Sono passati due anni da quella sera, cosa le rimane?

"Un grosso punto interrogativo. Non ho avuto la possibilità di vedere mio padre un’ultima volta, non ho potuto parlargli. Per me è ancora difficile rendermi conto a pieno della tragedia che sto vivendo. Inoltre, a oggi, non sappiamo nulla sullo stato delle indagini".

Lei ha tre figlie, le chiedono del nonno?

"Spesso. Mi chiedono quando verranno trovati i responsabili. La più piccola, dieci anni, si chiede perché non si sappia ancora nulla di certo. È difficile dare loro una risposta".

Ora che cosa si aspetta?

"Mi aspetto che si muova qualcosa. Mi aspetto che sia fatta giustizia e che si riesca a capire cosa è veramente successo quella maledetta domenica a mio padre e a Dario. Per tutti noi sono stati anni pesanti".

Dicendo questo pensa anche alla famiglia di Dario?

"Mi dispiace molto per le mie cugine. Dario non c’entrava nulla, era lì solo per aiutare mio padre. E questo mi fa sentire un po’ in colpa".