di Federico Malavasi
I familiari di Dario Benazzi non si arrendono. Non ci stanno a veder finire in un buco nell’acqua due anni di inchiesta sulla morte del loro caro, ucciso a fucilate e dato alle fiamme nelle campagne di Rero insieme al cugino Riccardo. Chiedono nuove indagini e verifiche più approfondite su certe posizioni. Il loro difensore – l’avvocato Denis Lovison – ha quindi deciso di fare opposizione alla richiesta di archiviazione formulata di recente dalla procura. Sotto inchiesta per il duplice omicidio, lo ricordiamo, sono finiti Filippo e Manuel Mazzoni, padre e figlio di 51 e 22 anni.
Nel corposo documento depositato in tribunale, il legale ripercorre punto per punto i passaggi evidenziati dal pm, sollevando dubbi e illustrando possibili elementi utili a scongiurare la chiusura del fascicolo senza responsabili. I primi aspetti su cui Lovison punta la lente sono la conoscenza e i dissapori tra gli indagati e Riccardo Benazzi, oltre al fatto che padre e figlio sarebbero stati gli ultimi a vedere i cugini (e a discuterci) prima dell’omicidio. Le vecchie ruggini scaturite dall’uccisione accidentale di un’oca dei Mazzoni da parte di Riccardo potrebbero rappresentare, secondo il legale, lo sfondo nel quale è maturato l’elemento scatenante del delitto. Altra possibile scintilla, sempre stando alle parole del difensore, potrebbe essere la situazione economica e societaria intrecciata alla costruzione dell’impianto eolico ideato da Riccardo Benazzi, la cui carcassa metallica giace su un terreno di fianco alla casa dei Mazzoni. Il fallimento del progetto – è la tesi delle persone offese – aveva portato alla messa all’asta di una serie di beni tra cui l’abitazione di padre e figlio, i quali forse temevano di rimanere senza casa in un momento difficile. L’opposizione all’archiviazione passa poi a esaminare i movimenti degli indagati, le armi di cui disponevano e il loro viaggio ai lidi. Una partenza che, secondo i familiari, potrebbe essere un modo per precostituirsi un alibi. Sempre in tema di tempistiche, il legale illustra come i due fossero rientrati in un momento compatibile con l’incendio appiccato alla Volkswagen Polo dei Benazzi e propone di valutare come ora del delitto le 10.15 (e non dopo le 10.42, come ipotizzato finora). Cioè l’orario in cui un testimone ha dichiarato di aver sentito esplodere quattro o cinque colpi di arma da fuoco.
Sulla base di queste ricostruzioni, i familiari di Dario Benazzi chiedono al giudice di non accogliere la richiesta di archiviazione del pm e di disporre nuove indagini o l’imputazione coatta di padre e figlio. In particolare, la richiesta è di approfondire determinate posizioni sentendo testimoni e svolgendo accertamenti tecnici, oltre a ordinare una perizia per capire se l’occultamento dei cadaveri potesse essere eseguito da una sola persona o se invece fosse necessario il concorso di più soggetti.