REDAZIONE FERRARA

"Così cureremo il Covid con una pillola"

Il primario di Malattie infettive a Cona: "Nei primi mesi del 2022 arriverà un farmaco in uso ora in Europa solo nel Regno Unito"

di Silvia Giatti

FERRARA

L’Agenzia per il farmaco degli Stati Uniti proprio in queste ore ha dato l’ok per l’uso di un nuovo antivirale che curerà il Covid attraverso l’assunzione di una semplice pillola. Il nuovo farmaco si chiama Paxlovid e dovrà essere somministrato con un farmaco complementare, il Ritonavir che è conosciuto anche nel reparto di Malattie infettive dell’ospedale di Cona diretto dall’infettivologo Marco Libanore perché serve a curare l’Aids.

Libanore, che cosa significa l’arrivo di questo nuovo farmaco?

"Che entro pochi mesi a quei pazienti che contraggono il virus e sono a rischio di un’evoluzione grave della malattia potremo somministrare questi farmaci attraverso l’assunzione di due pillole e dunque il carico del lavoro sanitario si sposterà molto di più sulla medicina territoriale. Gli ospedali, finalmente, si potranno dedicare con più vigore alla cura di altre patologie".

Quando si potrà utilizzare?

"È il secondo farmaco che si può somministrare per bocca che viene autorizzato nel mercato americano per l’utilizzo sui pazienti. In Europa, per il momento, solo il Regno Unito ha già acquistato le dosi del primo, il Mollupiravir. Per noi invece sembra che questo tipo di farmaco sarà messo a disposizione nei primi mesi del 2022".

Come funziona?

"Si tratta di nuovi antivirali, o meglio di farmaci in grado di fermare l’evoluzione in forma grave della malattia. Ma a questi serve aggiungere il farmaco complementare o booster per combattere il Covid. Si tratta di un altro antivirale che anche noi usiamo per curare l’Aids: il Ritonavir. In pratica quest’ultimo, che è un farmaco che inibisce i retrovirus come l’Aids aumenta l’efficacia del nuovo farmaco cioè crea quello che noi chiamiamo ‘effetto sinergico’".

Il Ritonavir lo avete usato con la prima ondata.

"Nei primi mesi abbiamo provato a somministrare questo antivirale ma gli effetti furono pressoché nulli e dunque abbandonammo quel tipo di cura".

Per chi sono le nuove cure?

"Per quei pazienti che dopo un anno e mezzo di pandemia sappiamo che sono più a rischio: obesi, diabetici, malati cardiovascolari, coloro che hanno problemi renali e tutti i malati vulnerabili immunodepressi".

Ma quando deve essere somministrata la nuova cura?

"Nella fase iniziale e cioè quando ancora non c’è stata un’evoluzione grave della malattia. Questi infatti sono farmaci che si devono assumere solo in caso di malattia conclamata. Entro i primi cinque giorni da quando si sono presentati i sintomi".

Cosa cambierà con le nuove cure?

"Oggi una delle poche armi che abbiamo per impedire l’evoluzione grave della malattia sono gli anticorpi monoclonali. Ma la loro somministrazione è impegnativa. Perché richiede delle indagini pre-somministrazione molto accurate affinché poi possano funzionare. Gli anticorpi, inoltre, possono essere somministrati per via endovenosa e dunque serve un’ora di seduta con flebo".

E quindi?

"Pensi invece a cosa potremo fare una volta che saranno disponibili questi nuovi farmaci? Potrà, ad esempio, entrare in campo il medico di base e dunque farli assumere al paziente anche da casa".

Siamo di fronte alla quarta ondata, come vanno le cose nel reparto di Malattie infettive?

"In questo momento ci sono 19 posti letto occupati su 20. E il ventesimo è occupato da un paziente affetto da tubercolosi. Stiamo di nuovo affrontando ritmi serrati e stiamo vedendo anche molti anziani che, nonostante si siano vaccinati all’inizio dell’anno, sono tornati in corsia: il virus purtroppo in questi soggetti fragili riattiva tutte quelle patologie che un anziano di solito presenta e dunque appena sistemi un problema il Covid ne attiva subito un altro. Si tratta di una gestione del paziente molto complessa".

Ma c’è differenza rispetto a un anno fa?

"Il vaccino ha fatto la differenza. Molti di quelli che oggi arrivano in ospedale sono persone socialmente disagiate, ad esempio gli homeless, o gli stranieri che purtroppo non sempre sono attenti nell’adottare le precauzioni o non si sono già vaccinati".