Dopo sette anni di indagini e più di dieci dai fatti nel mirino degli inquirenti, cala il sipario sulla vicenda giudiziaria legata alla presunta mala gestione della Carife. A poche settimane dalla richiesta della procura, il gip Carlo Negri ha firmato il decreto di archiviazione che mette la parola fine all’inchiesta ‘Carife bis’, che aveva acceso i riflettori sugli anni tra il 2007 e il 2013. L’indagine era nata a fianco di quella sull’aumento di capitale del 2011 (quest’ultima già arrivata a sentenza definitiva) per mettere sotto la lente l’amministrazione della Cassa negli anni immediatamente precedenti il commissariamento. Erano nove i nomi rimasti iscritti nel fascicolo dopo un primo stralcio di 27 posizioni: l’ex direttore generale Gennaro Murolo, l’ex presidente Sergio Lenzi, l’ex direttore generale Daniele Forin, i dirigenti Michele Sette e Davide Filippini, il revisore dei conti Michele Masini e i vertici di CariCesena Adriano Gentili, Germano Lucchi e Maurizio Teodorani. La richiesta di archiviazione, depositata dai pm Barbara Cavallo e Stefano Longhi e controfirmata dal procuratore capo Andrea Garau, è stata attentamente vagliata dal giudice per le indagini preliminari per poi essere accolta in toto. Il decreto di archiviazione è della fine di agosto.
Secondo il giudice, l’istanza è "meritevole di accoglimento" essendo "pienamente condivisibili" le argomentazioni della pubblica accusa. Alla luce delle conclusioni dei pm, afferma il gip, "anche istruendo un apposito dibattimento non emergerebbe la prova della penale responsabilità degli indagati oltre ogni ragionevole dubbio", né sembra possibile formulare "una ragionevole previsione di condanna (criterio di valutazione quest’ultimo introdotto dalla riforma Cartabia, ndr)". Negri conclude quindi il suo provvedimento dispondendo l’archiviazione del fascicolo, "ritenuta l’infondatezza della notizia di reato e, comunque, rilevata l’impossibilità di esprimere una positiva prognosi di condanna".
La richiesta di archiviazione della procura era lunga e articolata. Il documento prendeva le mosse da una premessa. "A fronte delle vicende che hanno condotto allo stato di insolvenza – è la sintesi – si ritiene non percorribile l’esercizio dell’azione penale". Insomma, secondo i pm nessuna pista investigativa ha trovato riscontro, o almeno non si è dimostrata sufficientemente solida da arrivare a una ragionevole previsione di condanna. La richiesta di archiviazione analizzava poi tutte le ipotesi accusatorie, a partire dalla vicenda Siano, ritenuta da molti il ‘peccato originale’ che ha portato al crollo della Carife. la vicenda ‘Siano-Vegagest’, lo ricordiamo, prende le mosse da una doppia operazione immobiliare nei territori di Segrate e Milano che espose la banca per circa 150 milioni (siamo tra il 2006 e il 2008). Secondo i pm, pur essendo nato tutto da delibere "frutto di condotte decettive dell’allora direttore Gennaro Murolo", non è possibile attribuire responsabilità in merito al crac a nessuno degli (ormai ex) indagati. Altro snodo era quello delle partecipazioni in altre società. L’ipotesi accusatoria (falso in bilancio valutativo) era che tali voci fossero state sopravvalutate per nascondere lo stato di predissesto della banca. A smontare tale tesi ci ha pensato una consulenza affidata a Giuliano Iannotta. L’esperto ha messo in luce la "sostanziale erroneità" delle accuse. Sotto la lente anche i presunti crediti anomali concessi ad altre società che, secondo la guardia di finanza, avrebbero generato bancarotta per distrazione o dissipazione. Niente di tutto questo, secondo i pm. Tali erogazioni costituiscono infatti attività ordinarie per una banca e risalgono a un’epoca molto precedente al dissesto.
Nulla di illecito nemmeno nei prestiti obbligazionari a tasso vantaggioso emessi nello stesso periodo dell’aumento di capitale né nell’acquisto di azioni Carife da parte di FinPosillipo e Finanziaria Gruppo Tomasi. L’ipotesi che si trattasse di operazioni simulate è crollata, in quanto le azioni furono effettivamente comprate. Con l’accoglimento da parte del giudice dell’istanza della pubblica accusa, si chiude definitivamente il fronte penale di una vicenda che ha scosso le fondamenta di un’intera comunità e del suo tessuto economico.