
"Camicie da generazioni, chiudo e vado in pensione. L’eleganza è fuori moda"
Paga lo scotto dei tempi che corrono, del mordi e fuggi, dei vestiti di puro nylon, dell’imperare dell’acrilico. Che hanno spazzato via l’amore per il bel vestito, uno al massimo da tenere chiuso nell’armadio se caso mai si sposa un amico. Così ’Nati con la camicia’ – ironia della sorte – chiude i battenti e vende, sarebbe meglio dire svende, tutto. Del sole che tramonta su una dinastia del tessuto è ultimo testimone Davide Trevisani, 63 anni, 45 vissuti in quel mondo di asole e colletti su misura, gli ultimi 35 nel negozio che si affaccia – una teca bordata di legno –, in via Garibaldi.
"Vado in pensione – racconta –, chiudo. I miei figli sono grandi, lavorano in un altro campo. E quel cartello, affittasi, il mio appello a raccogliere il testimone è caduto nel vuoto". Nessuno si è fatto avanti, gli scaffali che si vanno svuotando giorno dopo giorno, proscenio senza più attori. Un cliente storico – l’amarezza a disegnare una piega sulle labbra –, compra quattro camicie, se le porta via quasi fossero un tesoro. Esce da quei pochi metri quadrati dove è nato un universo, dove le cravatte fanno il paio con cappelli e marche che, già dal nome, sembrano retaggio di un passato che per il momento non ritorna. Sembra accarezzarle le camicie Davide Trevisani, su una parete il suo marchio. "Abbiamo realizzato una nostra firma, la camicia degli Este. Tutto registrato. Scegliamo noi i tessuti e un laboratorio le realizza, con il nostro logo". Eleganza appesa alle grucce, abiti senza vita, chiusi nelle scatole. "La gente – riprende, forte la delusione – pensa ad andare in vacanza, al ristorante. Sui vestiti risparmiano, comprano abiti di scarsa qualità, quasi usa e getta". E le cravatte sono rimaste lì, a colori e fantasia, stese in bell’ordine, in attesa di un colletto che non arriva.
Un salto indietro, un bel po’ di anni fa. "Nonno Renato", lo chiama con affetto. Vendeva tessuti negli anni Trenta, durante la guerra. "Poi è arrivato mio babbo, William, con la doppia W", che aprì un negozio diventato un simbolo della Ferrara bene. "Era in via Boccacanale di Santo Stefano, da lì ha vestito la città. Essere eleganti era un dogma, il vestito su misura un imperativo", ricorda. Poi l’approdo in via Garibaldi, le cose vanno bene, il desiderio è quello di ampliarsi. "Allora c’era un forte spirito imprenditoriale, voglia di fare, di rimboccarsi le maniche per riuscire ad ottenere qualcosa. Quello spirito sembra aver ceduto il passo. Ferrara è una bella città, in questi ultimi anni il turismo è aumentato in maniera esponenziale, ma non è stato fatto ancora quel salto che ci consenta di definirci una grande città. E io lascio". Per andare a fare il nonno. Due nipoti, un altro in arrivo. Davide Trevisani avrà ancora parecchio da fare.