Bruce Springsteen "Il concerto si deve fare Avversarlo è follia I ferraresi lo vogliono"

Bruce Springsteen  "Il concerto si deve fare  Avversarlo è follia  I ferraresi lo vogliono"

Bruce Springsteen "Il concerto si deve fare Avversarlo è follia I ferraresi lo vogliono"

Nell’appropinquarsi del concerto di Springsteen, non vi è edizione giornaliera della stampa locale che non dia spazio e clamore, in maniera progressivamente insorgente, alle voci assolutamente contrarie all’evento che si terrà presso il parco urbano Giorgio Bassani. Proprio dall’Opera di quest’ultimo si ha occasione di riflessione in merito all’esistenza di una maggioranza defilata e silenziosa (nella specie, favorevole al concerto in detta sede) a fronte di una minoranza chiassosa che, dando evidenza di sé, occupa e presidia il visibile cittadino. Ferrara dunque come “città dalle persiane abbassate”, come si scrisse del racconto del Bassani “Una notte del ’43”. Scendendo per un attimo nel terribile, il defilarsi della maggioranza, del suo capire e del suo aver visto, a fine racconto, è impersonato dal Pino Barilari, che - chiamato a testimoniare sull’atroce fatto di sangue avvenuto sotto la sua finestra - dichiara: “dormivo.”. Ora, il dormir d’oggi della maggioranza silenziosa di fronte all’evento ha ben altri caratteri e piuttosto s’avvicina a quello proposto per Ferrara da Charles de Brosses nel suo “Viaggio in Italia” (1739), che scrive di città spopolata, abitata da “gatti turchini”. Che la popolazione ferrarese sia schiva all’apparire e al dar contezza del suo reale orientarsi– e qui la persiana abbassata, l’impressione di spopolamento della città e del prevaler dei “gatti turchini” e l’apparire maggioranza di una minoranza – probabilmente ha una sua motivazione storica, questa sì, di comune visibilità. Ferrara, nel suo centro, ha un Castello, laddove le altre città italiane hanno una piazza; fu grande Ferrara nella dimensione del Principe ma mai - a differenza delle altre – ebbe ad eccellere come congregazione di arti e mestieri, come collettività, come “urbs”. Mai Ferrara fu borghese, dibattendosi tra Signoria (tale diventa nel 1208 e lì muore il giovane libero comune di Ferrara) e Ducato, sino alla devoluzione del 1598 che la riporta nelle braccia dello Stato Pontificio, ove rimarrà (con la sola parentesi Napoleonica) sino al 1859. Ebbene: ove vi è Castello in luogo di una Piazza; ove si ha Signoria anziché la collegialità delle arti e delle corporazioni come prototipo di vita parlamentare; ecco che allora sarà arduo rintracciare nella vita della città quel sedimentare della dialettica (Hegel: tesi, antitesi, sintesi) propria della vita democratica, che invece troviamo nella vicina Bologna, città dei portici e dell’universitas per eccellenza. Da qui diverse rilevanti vicende della Nostra Provincia, in primis quella della centralità dello sviluppo agrario e il suo grande contributo alla nascita del fascismo. Dove c’è un Castello, c’è una Corte e dei gradini, che portano su agli alloggi del Signore ma che pure portano giù alle segrete prigioni. E, a Corte, un apparire o una parola di troppo, può costringere a doverli discendere, quegli scalini, verso sofferenza e morte. Da qui l’augusta defilatezza di noi ferraresi (“stai strigato!”). La piazza invece mette tutti sullo stesso piano, senza gerarchie spaziali e architettoniche – niente scalini e nessun immediato castigo – e apre al dire, al confrontarsi, al fare (e disfare) cose e maggioranze; nella piazza si liberano quelle forze che han fatto grandi le altre città sotto l’egida di loro stesse, piuttosto che sotto quella del Principe, quand’anche l’avessero avuto. Ora, se ancora un po’ cortigiani noi ferraresi siamo – come per secoli certamente fummo -, ci verra’ più facile boicottare (ovvero far prevalere il no) piuttosto che mostrarci maggioranza votata al fare. La concretezza è propria del cittadino libero che, dimentico di ogni sua condizione servile, sa ciò che vuole. Qui si potrà radicare l’ulteriore visione di Ferrara come “città delle occasioni perdute”; ma ne parleremo un’altra volta, se avremo voce, spazio e coraggio … nonché, bontà loro, almeno i fatidici quindici lettori! ******** Il concerto di Bruce, fuor dalla Corte e in assoluta auto evidenza, è un’occasione imperdibile per la città e l’avversarlo è follia; tanti nostri concittadini, di qualsiasi orientamento politico, ne hanno acquistato i biglietti e, da dietro le persiane abbassate, ne attendono la data. È l’assoluta maggioranza che non strepita ma che esiste, ha votato e rivoterà; anche tenendo conto, a posteriori, di cosa l’Amministrazione avrà fatto bene e di cosa inevitabilmente pur avrà errato nell’organizzazione dell’evento. Questa è la democrazia; ma ancora non ne siamo pienamente consapevoli nel nostro profondo, costituito massimamente da un “inconscio storico” che nel nostro quotidiano sussurra e condiziona, quando non impera. Peserà pure - dopo il Principe, il Castello e la Chiesa - anche l’abbondante settantennio di monocolore amministrativo? Il servo di Hegel ancora non s’è fatto padrone (ma in quante altre vicende cittadine l’abbiamo riscontrato?). Chi scrive, pavido come e più degli altri, lo fa dal cespuglio. Sommessamente,

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