Ferrara, 6 dicembre 2024 – I dipendenti che si licenziano in massa per paura delle minacce ricevute, le chat tra baristi e titolare in cui si parla della “gente pericolosa che ci siamo messi in casa” e un coltello passato di mano e nascosto dalla moglie di uno degli imputati. Scampoli della lunga udienza del processo per l’omicidio di Davide Buzzi, tatuatore 43enne ucciso tra le mura del bar Big Town di via Bologna il primo settembre del 2023. Imputati davanti alla corte d’Assise per la morte di Buzzi e il tentato omicidio dell’amico della vittima, il 22enne Lorenzo Piccinini, sono Mauro Di Gaetano, 42enne titolare del locale, e il padre 70enne Giuseppe (difesi dagli avvocati Giulia Zerpelloni, Stefano Scafidi e Michele Ciaccia).
Il dolore della moglie
L’udienza di ieri ha visto sfilare sei testimoni davanti all’Assise. La più sofferta è stata quella della moglie di Mauro. La donna, nel ricostruire i momenti più concitati di quella maledetta notte, ha rivelato un dettaglio finora inedito alle cronache e cioè il tentativo di nascondere il coltello impugnato da Di Gaetano padre durante il caos all’interno del Big Town. La donna ha riferito di aver portato una borsa di vestiti al suocero che si trovava in caserma, subito dopo il delitto. Consegnati gli abiti, la sacca le è stata restituita. “Quando ci siamo salutati – ha ricordato con voce rotta –, Giuseppe mi ha detto all’orecchio ‘Buttalo’. Subito non ho capito a cosa si riferisse. Poi nella borsa ho trovato un coltello a serramanico giallo. Il giorno successivo l’ho lavato nel lavandino del bagno e l’ho pulito con l’igienizzante. Infine l’ho buttato nel cassonetto dell’indifferenziata dopo averlo avvolto nei sacchetti dei bisogni del cane”. I carabinieri busseranno due volte alla sua porta nelle ore successive in cerca di quella lama e, alla fine, la donna rivelerà dove era stato buttato, permettendogli di recuperarlo.
La denuncia
Il racconto si sposta poi su quanto accaduto prima dell’orrore, in particolare intorno al 25 agosto, data in cui Buzzi si presenta al Big Town pretendendone la chiusura pena l’incendio del locale. Il giorno successivo, Mauro si presenta in questura. Parla con un agente della squadra mobile il quale, spiega la teste, “disse che in quel momento non si poteva fare niente, ma che doveva subito chiamare se fosse tornato”. Nello spiegare alla corte i giorni difficili vissuti nella seconda metà di agosto, riferisce di aver pensato insieme al marito “di chiudere, ma a livello economico avremmo avuto difficoltà”. A rafforzare il senso di inquietudine e la credibilità di quella minaccia, spunta un ‘sentito dire’ di due ragazze le quali, secondo la donna, avrebbero sostenuto che “Buzzi si stava organizzando per una sorta di ‘giustizia personale’” per la morte di Edoardo Bovini, il 19enne figliastro della vittima deceduto a metà agosto davanti al Big Town dopo aver assunto cocaina, una tragedia che in qualche modo il 43enne imputava al gestore del bar e che sarebbe all’origine della mattanza.
Lasciato solo
Il clima di paura che in quei giorni si respirava al Big Town è emerso dalla lunga testimonianza del più anziano dei dipendenti. Lui era presente la sera del 25 agosto, quando Buzzi si presentò al bar intimando di chiuderlo. “Stavo lavorando quando ho visto arrivare Buzzi molto alterato – ha raccontato in aula –. Era un nostro cliente e fino a quel momento, era sempre stato tranquillo. Io volevo fargli le condoglianze per i figliastro, ma lui mi disse di chiudere il locale altrimenti gli avrebbe dato fuoco”. A quel punto, il barista chiede agli ultimi clienti rimasti di andarsene e, insieme al collega in turno con lui, abbassa la saracinesca. “Eravamo impauriti, abbiamo chiamato Mauro e ci siamo visti poco dopo in via Ripagrande – ha aggiunto –. Lui ci ha detto di avere visto Buzzi quella stessa sera, il quale gli aveva dato una sberla e gli aveva chiesto una sorta di pizzo”. Di Gaetano “voleva riaprire, ma noi ci siamo opposti. Ho detto che non avrei più lavorato”. E così anche gli altri dipendenti che, di lì a poco, hanno dato le dimissioni.
Le chat
Durante l’esame del barista, in aula sono state proiettate le immagini di una chat di gruppo che comprendeva Mauro Di Gaetano e i dipendenti. Nelle ore successive alla minaccia, si discute dell’accaduto. Il titolare sonda la disponibilità dei giovani a tornare al bancone, spiegando le mosse che aveva messo in atto a sua e loro tutela, mentre i baristi esprimono le loro perplessità e timori. In particolare ci si sofferma su un lungo messaggio del testimone, nel quale ribadisce la sua intenzione di smettere, anche per l’ambiente che si era venuto a creare al Big Town. “Sapevamo che quella tragedia (la morte di Bovini, ndr) avrebbe avuto delle conseguenze – scrive il barista su Whatsapp –. Ci siamo messi in casa delle persone pericolose”. Sul punto, il ragazzo spiega di essere “stanco di lavorare al Big Town, a causa della presenza di persone che fanno uso di droga e delle frequenti risse”.
I testimoni dell’orrore
In apertura di udienza, sono stati ascoltati due clienti presenti la sera del primo settembre e che hanno assistito in parte all’esplosione di violenza. Il primo è un ex dipendente del Big Town che quella sera era passato al locale per salutare Mauro dopo essere stato fuori Ferrara per un periodo. “Stavamo chiacchierando – ha ricordato –, quando all’improvviso si è fermato e ha detto ‘Aiuto, chiama i carabinieri’. Mi sono girato verso la vetrina e ho visto due persone scendere da un’auto. Sono uscito e ho chiamato i soccorsi”. Un altro giovane stava bevendo con alcuni amici nella distesa, proprio all’ingresso del bar. “Ho visto una macchina fermarsi, sono scesi in due con una tanica – ha detto –. L’hanno mostrata al titolare e poi sono venuti alle mani. Buzzi ha tirato uno schiaffo al padre del titolare e ha lanciato una sedia. Poi mi sono allontanato”.
Chi conosce Buzzi?
Una domanda rimbalzata a ogni esame è se il teste conoscesse Davide Buzzi. Qui le risposte si sono fatte più nebulose. C’è chi ha detto di conoscerlo di vista, chi di aver saputo chi fosse soltanto dopo, chi di riconoscerlo come uno dei tanti clienti del bar. Voci e ‘sentito dire’ si accavallano intorno a una figura che – nonostante qualche tentennamento e molti ‘non ricordo’ – nessuno può negare di aver visto con una certa frequenza al bancone di quel locale il cui nome è ormai indissolubilmente legato a quella notte di sangue.