Sono partiti, sotto la pioggia. Appuntamento davanti all’ingresso della Berco, la corriera che frena, i finestrini rigati d’acqua. Salgono a bordo i sindacalisti di Fim, Fiom, Uilm e le Rsu, una cinquantina di operai, il sindaco di Copparo Fabrizio Pagnoni. E’ ancora buio, davanti c’è un bel po’ di strada, quella per Roma, dove si svolge la manifestazione per l’automotive (a Cento c’è la Vm). Un bel po’ di strada per salvare i posti di 480 famiglie licenziate con una mail, di 77 dipendenti della Tollok, mandati via un lunedì mattina, erano lì per lavorare. Le ore passano, Roma, piazza del Popolo. Una prima schiarita, il 5 novembre a Palazzo Piacentini si terrà il tavolo sulla vertenza della Berco-ThyssenKrupp convocato dal ministero delle Imprese, Adolfo Urso. Alla riunione, nella sede del ministero, l’azienda, sindacati, Regioni Emilia-Romagna e Veneto. Davanti all’azienda, secondo giorno di sciopero, ci sono 200 operai.
Ha il giubbetto giallo e nero, con il simbolo del puma. La divisa della Berco, tiene caldo, quasi ad allontanare il freddo che prende l’anima nell’annuncio – la voce al megafono dei sindacati – dei 480 esuberi. E’ giovedì 17, il giovedì nero della Berco. I nomi non si sanno, potrebbe esserci il suo. Lisa Zappaterra, 45 anni, oltre vent’anni d’anzianità nell’azienda di Copparo. O quello del marito. Enrico Bega. "Non lo sappiamo, nessuno sa chi c’è in quell’elenco. Siamo sulla stessa barca, dobbiamo fare fronte comune". Decisa, i capelli lunghi venati di rosso, l’altro giorno – e poi dicono che a portare sfortuna è il venerdì – era con i suoi colleghi, a centinaia nella strada che scorre davanti allo stabilimento. Dentro nessuno, tutti hanno aderito allo sciopero quando è arrivata – una tegola sulla testa – la notizia dei licenziamenti, con quella lettera nel portale. ‘Gentili colleghi e colleghe’… "E’ la terza crisi che viviamo da quando siamo alla Berco – racconta –, la peggiore. Un anno si parlava di 600 esuberi, ma allora eravamo in tanti, 1800, adesso siamo in 1.200. Quella crisi venne superata. Ora? Non sappiamo. Intanto siamo qui e lottiamo". Il pensiero va alle figlie, ne hanno due. Una all’università, studia farmacia. "Solo di tasse in un anno – raccontano – ci vanno via 1500 euro. E per fortuna nostra figlia è in gamba, si ingegna. Fa qualche lavoretto, per avere un po’ di soldi da parte per gli studi". Sono in una terra di nessuno. "Non siamo né giovani, né vecchi. Giovani per riuscire a metterci di nuovo sul mercato del lavoro, trovare un altro impiego. Vecchi per andare in pensione. Il Comune potrebbe fare dei corsi, proprio per noi dipendenti, per aiutarci ad acquisire nuove competenze". La memoria va al passato. "Lavorare alla Berco era come avere un incarico statale, entravi e poi se ne parlava quando andavi in pensione. Non è più così, è cambiato tutto. Lo stiamo provando sulla nostra pelle". Lavora al tornio. "Con me ci sono altre quattro donne, in officina ormai saremo meno di quaranta. In questi anni abbiamo visto chiudere tanti reparti. E adesso metà dei dipendenti a casa a Capodanno. Cosa resterà della Berco?".