Reclutavano badanti e le facevano lavorare quasi come schiave. In servizio 24 ore su 24 e sette giorni su sette, niente riposo e con retribuzioni ‘sballate’ rispetto ai contratti della categoria. E chi alzava la testa veniva minacciata di licenziamento. Insomma, un vero e proprio sistema di caporalato ai cui vertici, secondo la procura di Bologna, c’erano tre persone che operavano attraverso una società di intermediazione per colf. Il ‘giro’ è stato scoperto e sgominato dai carabinieri del capoluogo emiliano i quali – in collaborazione con i colleghi di Ferrara e Reggio Emilia – hanno eseguito tre ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico dei tre soggetti. Le accuse nei loro confronti sono pesanti. Sono infatti sospettati di aver messo in piedi un’associazione a delinquere finalizzata all’intermediazione illecita, allo sfruttamento del lavoro e alle truffe. Nelle maglie della giustizia sono finiti Hakima El Abbi, 45enne marocchina residente nel Reggiano, e i fratelli Fabio e Giuseppa De Falco, lui 49enne campano residente a Ferrara e lei 57enne anch’essa residente in città ma domiciliata nel Bolognese. Questi ultimi, secondo le accuse, si sarebbero occupati a vario titolo della gestione amministrativa della società mentre la prima aveva il compito di reclutare le lavoratrici attraverso annunci sul web o sui social, oltre ad accompagnarle a casa dei clienti.
I primi passi. L’inchiesta prende le mosse da una denuncia depositata ai carabinieri di Bologna nell’ottobre del 2023 da una donna che, avendo bisogno di assistenza per l’anziano fratello, si era rivolta alla società gestita dagli indagati. Questi, secondo un modus operandi che in seguito si dimostrerà collaudato, avrebbero fatto sottoscrivere alla malcapitata una sorta di ‘pacchetto trimestrale’, un contratto irregolare con il quale esigevano l’anticipo delle prestazioni (3.400 euro) attraverso bonifico su un conto intestato all’associazione.
L’inchiesta. Le indagini partite dalle anomalie segnalate dalla querelante hanno sollevato il velo sul presunto ‘sistema’. Stando a quanto emerso dall’attività dei militari bolognesi – supportati dai colleghi del nucleo Tutela del lavoro –, il gruppo reclutava le badanti approfittando del loro stato di bisogno e della scarsa conoscenza dell’italiano, portandole ad accettare condizioni lavorative gravose e umilianti. In molti casi, le donne venivano inserite nel circuito della cura e assistenza agli anziani senza alcuna tutela o preparazione sulle delicate mansioni da svolgere. Le risultanze investigative parlano poi di contratti sottoscritti e mai registrati (in realtà moduli difformi dai contratti collettivi nazionali), non presenti dunque nelle banche dati dell’Ispettorato del lavoro. In questo modo, secondo le contestazioni, gli indagati non garantivano alcuna forma di contributo rispetto al periodo di lavoro e nemmeno tutele in caso di infortuni. La badanti, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, si trovavano poi a operare in condizioni di sfruttamento, rimanendo in servizio anche 24 ore al giorno, senza riposo e con retribuzioni (non sempre garantite) palesemente difformi da quelle contrattuali. L’ipotesi di reato di truffa riguarda invece i contratti, privi di validità, con i quali gli indagati si facevano pagare in anticipo dai clienti, senza che questi fossero a conoscenza che quei documenti erano ‘carta straccia’ e senza possibilità di rimborso nel caso venisse meno l’impegno preso.
La rete. Dalle indagini è emerso un quadro allarmante. Secondo gli inquirenti l’organizzazione sarebbe attiva almeno dal 2021/22. In tutto sono diciotto i casi di presunto sfruttamento ricostruiti dai militari tra le province di Ferrara, Bologna, Modena, Reggio, Parma e Firenze. Il sodalizio avrebbe fruttato parecchi soldi al trio: si parla, in un solo anno, di un giro d’affari da circa 420mila euro. Anche per questo, i carabinieri hanno eseguito un provvedimento di sequestro che ha consentito di porre i sigilli a oltre centomila euro dai conti correnti nelle disponibilità degli arrestati.