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Paola Bergamini (consigliera con delega alla biblioteca), l’ex deputato Emanuele Fiano e il sindaco Edoardo Accorsi
A Cento, per il Giorno della Memoria, è intervenuto l’ex deputato del Partito Democratico Emanuele Fiano, lui che figlio di un deportato ebreo ha potuto ascoltare dalla voce del padre le atrocità vissute nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald. "Dobbiamo avere il coraggio di estrarre delle lezioni dalla Shoah – ha aperto l’onorevole – servono per capire perché è successo e fare in modo che non si ripeta". Una storia di dolore. "Da bambino guardavo il suo corpo che portava segni, facevo tante domande – è il racconto – solo più tardi seppi che i segni che aveva sulla coscia erano stati fatti dai compagni che gli avevano inciso la gamba per soccorrerlo a causa di un’infezione causata dai maltrattamenti. Aveva anche un alluce mozzato, gli era caduta sopra una traversina dei treni dov’era stato messo a lavorare. Sul braccio, il tatuaggio con il numero. Ero un bambino, non mi rispondeva ma capivo". Ma un giorno iniziò a parlare. "Era il 1977, avevo 14 anni e lui in una serata pubblica iniziò a raccontare – prosegue – diceva di volere aprire la valigia piena di cose che finora non aveva mai detto. Iniziò da quando a Firenze fu espulso dalla scuola media perché ebreo, soffrendo per il silenzio dei compagni e delle persone. E’ proseguito nei successivi 60 anni. Il 23 maggio 44 fu deportato ad Auschwitz con i genitori, sua madre venne uccisa subito col gas insieme alla nonna e altri parenti. Il padre morì poco dopo di stenti. Mio padre fu trasferito in un paio di campi poi a Buchenwald, un’altra fabbrica di morte, dove i disabili venivano lanciati nel fuoco e i neonati per aria e uccisi. Era in condizioni critiche – prosegue –. Era solo e quando la porta della baracca si aprì vide un soldato grande, la pelle scura, capì che era un liberatore e sui gomiti gli andò incontro, abbracciò le sue gambe e svenne sentendo la fragranza del sapone ‘Lifebuoy’ che esiste ancora oggi. Per lui era il profumo della libertà. Quella fragranza la cercò, la trovò, la tenne sempre con sé. E anche io". La salvezza. "La sua salvezza fu che conosceva il tedesco – dice –. Il nonno anni prima aveva sentito alla radio un discorso di Hitler e avvertendo il pericolo aveva deciso di insegnare il tedesco al nipote dicendogli che gli avrebbe salvato la vita. Così fu. Quando mio padre si trovò a Birkenau, dove il 90% dei deportati veniva ucciso in tempi brevi, un maresciallo chiese un interprete. Lui si fece avanti in perfetto tedesco e anche il fatto di essere di Firenze, città cara al maresciallo, fece sì che lo indicò al lavoro, pulendo i carri bestiame. Quando decade la condizione sociale, nasce il pericolo – conclude –, un pericolo che percepiamo anche ora ed è per questo che ho scelto di fare politica ed occuparmi delle persone. La storia non si ripete mai nello stesso modo ma un pericolo di crisi delle democrazie liberali c’è, di restringimento delle libertà personali a cui siamo abituati esiste. Così come un aumento delle discriminazioni verso alcuni gruppi e della violenza. E su questo bisogna stare molto attenti".
Laura Guerra