Alle Politiche e, ancor di più, alle amministrative capita di vedere capannelli di persone in paziente attesa prima di sollevare la matita – con un garbo che tradisce una forma di soggezione – e votare. In questa due giorni di chiamata alle urne per le Regionali, invece, lo scenario è stato profondamente diverso. Le urne solitarie, leggerissime. E tante schede senza votanti accatastate accanto. Il dato di affluenza è bassissimo: 43,12%. In occasione delle ultime consultazioni per rinnovare il governo di viale Aldo Moro, l’affluenza ferrarese era stata del 65,60%. In ogni caso, anche questa volta, sotto la media regionale. Nel 2020, l’affluenza dell’intera regione era stata del 67,67%.
Va detto, comunque, che probabilmente molto del traino delle precedenti consultazioni regionali – tradizionalmente di poco interesse agli occhi dell’opinione pubblica – dipese dal movimento delle ‘sardine’ che riempì tante delle piazze emiliano-romagnole in chiave anti-centrodestra. A partire proprio da quella di Ferrara. Il giro nei seggi è sempre illuminante, perché restituisce plasticamente il reale sentire delle persone comuni. Di buon mattino, in uno dei seggi della scuola Poledrelli scrutatori e presidente di seggio stanno accogliendo una signora intenta a consegnare i documenti d’identità prima di entrare e mettere la fatidica X sul simbolo. "Siamo a circa il 45% di affluenza – dicono gli scrutatori –: il calo di affezione alla politica, che si traduce nel calo della partecipazione al voto è molto evidente. Tra l’altro, i cittadini residenti all’estero nel nostro seggio stanno crescendo, per cui anche questo è un dato sul quale riflettere".
Trasversalmente – dal centro alla periferia – tutti gli scrutatori ammettono che alle urne si recano "per lo più i cittadini anziani: di ragazzi giovani, se ne vedono pochissimi". In effetti, le poche persone che entrano anche all’Alda Costa, dove nel frattempo ci siamo spostati, hanno tutti per lo meno i capelli grigi. "Siamo quasi al 40% e, in proporzione, hanno votato più dinne che uomini", riferisce una zelante scrutatrice intenta a far di conto. Entra una signora, di un’età ragguardevole ma piuttosto arzilla. Scopriamo poco dopo, che ha 88 anni. "Sono qui a votare per la mia libertà – scandisce verso il presidente di seggio – perché io ricordo, durante la guerra, i professori che tenevano aperte le scuole nonostante le bombe. Sono qui anche per loro, che ci traghettarono verso la Costituzione del 1948".
Ci spostiamo verso la periferia più profonda. I seggi di Pontelagoscuro sono sempre un’esperienza immersiva nella realtà. Alle 14.30 in uno dei seggi l’affluenza aveva di poco sfiorato il 40%. "Ma come? Questo è uno dei seggi in cui si registra l’affluenza maggiore", obiettiamo. "Rispetto alle Comunali, non c’è paragone. Le persone hanno saputo di questa elezione attraverso il passaparola. E molti hanno lamentato il fatto che siano state poco pubblicizzate". A Francolino ci arriviamo di volata. Sono le 14.50. Dieci minuti prima del ‘gong’. Più uomini, prevalenza anziani, ci dicono gli addetti. "D’altra parte – commenta uno di loro – a questo seggio sono iscritte molte persone anziane. Ma, più che altro – dice il navigato presidente di seggio - "ho visto molte espressioni figlie della rassegnazione: nessun grosso entusiasmo". È il volto della politica di oggi, a maggior ragione nelle piccole città di provincia.