Di Bisceglie
Le indiscrezioni, questa volta, sono piuttosto fondate. Per cui, nonostante l’ufficialità del piano di investimenti di Eni-Versalis arriverà soltanto oggi, le preoccupazioni dei sindacati sono già piuttosto accese e circostanziate. D’altra parte, da quanto riporta Bloomberg, Eni potrebbe presto investire due miliardi di euro per ristrutturare Versalis, il business della chimica, mediante una transizione graduale dalla produzione di composti di base a quella di prodotti chimici più circolari, e con focus sulle rinnovabili da basi non-fossili. Non c’è bisogno di ricordare che tipo di importanza rivesta la branca chimica dell’azienda pubblica di Eni per il nostro Petrolchimico e, più in generale, per il nostro territorio. Il piano di Versalis arriva in qualche modo in una situazione di tempesta perfetta. Nei prossimi giorni è prevista una mobilitazione dei lavoratori dell’indotto Stellantis. Gomma-plastica (componentistica e cruscotti), vetro (lunotti e parabrezza) e tessile (cuciture e interni).
Non solo. Ancora non si hanno notizie del rinnovo dell’accordo di fornitura per le materie prime tra Basell e, appunto, Versalis. Per questo possiamo parlare a buona ragione di tempesta perfetta. O, meglio, di "pesante ridimensionamento di tutta la chimica di base italiana". Sul piano dell’azione diretta, stando alle indiscrezioni che filtrano, "l’impatto maggiore lo avranno gli impianti petrolchimici al Sud" riflette Vittorio Caleffi, segretario regionale della Uiltec in odore di promozione romana, ma "per come è conformato il sistema di approvvigionamento, temiamo che alcune azioni possano avere un forte impatto anche sugli impianti al Nord e dunque anche a Ferrara". Ma c’è di più, a proposito dei costi della transizione. "Stiamo cercando di capire il futuro delle forniture di materie prime allo stabilimento ferrarese – prosegue Caleffi –. Al momento non abbiamo notizie dell’accordo commerciale tra Basell e Versalis sulla fornitura. Accordo che, in queste condizioni, potrebbe essere messo completamente in discussione nelle sue parti strutturali".
Cambia, in qualche misura, l’oggetto dell’accordo stesso. Il punto, in base a queste prerogative, sarebbe non tanto l’approvvigionamento in sé in termini di prezzi ma "la capacità di reperimento delle stesse, qualora l’azienda decidesse di avviare un altro tipo di produzione con caratteristiche differenti". Oltre alla chimica di base – asset strategico del nostro Paese, per lo meno in linea teorica a questo punto – sarebbe "fortemente penalizzata" anche tutta la filiera che dipende dai prodotti. "La preoccupazione – riprende Caleffi – è per la tenuta non solo della chimica di base, ma dell’intero sistema industriale a valle dei petrolchimici. Ci sono i presupposti affinché vengano messe in discussione le filiere di importanti segmenti industriali del nostro territorio: penso al comparto biomedicale, finendo con l’automotive".
Insomma, i presupposti non sono dei migliori e l’onda lunga di queste decisioni potrebbe fortemente impattare anche sul nostro territorio. Peraltro in un periodo non propriamente facile sul piano di lavoro e sviluppo.