Rievocare un incontro storico, per la cultura visuale del Novecento, è possibile solo in uno spazio nato e concepito per essere dinamico. A Ferrara, si intende dare questa dimensione allo Spazio Antonioni, inaugurato prima dell’estate e ormai a pieno regime, pronto ad accogliere nuove mostre.
È il caso dell’esposizione che inaugura oggi (e che proseguirà fino al 4 maggio 2025) dedicata all’incontro sul set del film Zabriskie Point tra il grande fotografo Bruce Davidson e uno dei padri della cinematografia moderna, Michelangelo Antonioni. Approdato negli Stati Uniti nel 1968, il regista, fresco di Palma d’Oro al Festival di Cannes, scelse Davidson come fotografo di scena. È proprio accanto ad Antonioni, che lo statunitense nativo dell’Illinois (oggi novantunenne) considera "il più grande regista con cui abbia mai collaborato", che Davidson, appunto, trova ispirazione per alcuni dei suoi scatti più memorabili.
Da oggi, alcuni di questi scatti si possono ammirare nella nuova casa ferrarese di Antonioni, lo Spazio Antonioni, in occasione della mostra ‘Bruce Davidson / Zabriskie Point. I volti dell’America’, curata da Chiara Vorrasi e organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara. "L’esposizione – spiega l’assessore alla cultura, Marco Gulinelli – va nella direzione di mettere a confronto con altri grandissimi artisti il linguaggio di Antonioni. Davidson cattura l’essenza di un’epoca e di una società, rivelando la dignità nascosta anche nei contesti più degradati. Allo stesso modo, Antonioni, attraverso la sua cinepresa, esplora le complessità e le contraddizioni dell’animo umano e della società moderna".
In effetti, regista e fotografo, se non si fossero davvero incontrati sul set, possiamo immaginare che sarebbero comunque stati collegati dalla letteratura successiva. Il matrimonio tra i loro linguaggi è evidente. Evidente e attuale: "Tutto lo sguardo di Antonioni è attuale e senza tempo – aggiunge il direttore di Ferrara Arte, Pietro Di Natale –. Quando arriva questo periodo dell’anno, con il consumismo che impera, penso sempre alla scena finale del film, una delle più surrealiste e metafisiche della storia delle immagini".
"La mostra – prosegue la curatrice, Chiara Vorrasi – ci racconta di un incontro in piena sintonia tra uno dei padri del cinema moderno e uno dei massimi esponenti della Magnum Cinema. Ci racconta di un Antonioni che si proietta nell’America delle controculture, una California dalle infinite iperboli e delle contraddizioni, che incarna la complessità del pensiero post-moderno". Il fotografo della Magnum, sul set del film, trova materia infinita per dare un volto indimenticabile al clima appena descritto: ritratti, vedute di Los Angeles, paesaggi lunari della Death Valley restituiscono il mosaico composito di una società dove convivono il mito del benessere e l’evasione in territori incontaminati, la violenza e la repressione, le architetture più avveniristiche e una natura quasi primordiale.
Infine, come spiegano in mostra, un altro affascinante punto di tangenza tra Antonioni e Davidson è l’affinità con le ricerche visive, tra informale e Pop Art, "che sfidano le proprietà della materia grezza o s’interrogano sull’immaginario della società dei consumi".