Ferrara, 18 febbraio 2019 - La scena è questa. Lo spacciatore nigeriano inseguito dai carabinieri viene travolto casualmente da un ignaro automobilista. Non muore. È solo ferito. La marea minacciosa di immigrati di colore che lo pensava ucciso rallenta il faccia a faccia di insulti e minacce con le forze dell’ordine. Grazie, scusate, la rivolta con cassonetti ribaltati e strade bloccate si ferma qui.
È sufficiente. E se il pusher investito fosse morto? Beh, allora si poteva dare l’assalto al castello di Ferrara, o al Comune del sindaco Pd Tiziano Tagliani che ovviamente ha già individuato la responsabilità della ribellione. Colpa del decreto sicurezza e quindi di Salvini. Il colpevole ideale. Come il maggiordomo nei racconti polizieschi dell’Ottocento. La sera d’inferno ha squassato la placida Ferrara, che come altre città deve fare i conti con l’ingombrante presenza di un’area urbana ostaggio della comunità di spacciatori nigeriani, clandestini, richiedenti asilo in attesa perenne di conoscere il proprio destino.
Esercito in strada, pressione di polizia e carabinieri. Eppure disagio e tensioni sociali crescono. Il problema aggiuntivo è però la reazione di certe comunità di immigrati. Un pazzoide spara? Uno spacciatore viene arrestato? La polizia insiste nei controlli? E allora via ribellioni e devastazioni. L’anno scorso accadde a Firenze. Un matto uccise un senegalese e i connazionali della vittima risposero con vandalismi e violenze. Idem nella baraccopoli di Foggia. È nei ghetti fuori controllo che talvolta un caso singolo viene percepito come torto collettivo a sfondo razziale.
E spesso esplode la rabbia con una pericolosa capacità di mobilitazione. Nelle banlieu francesi cominciò così. Salvini ha ottenuto risultati concreti sul fronte dei porti bloccando gli arrivi. Ma il fronte urbano qua e là continua a ribollire. Brutti segnali, da non strumentalizzare, ma da non sottovalutare. Prima che le rivolte esplodano dall’altra parte.