Con il lucido racconto del dottor Paolo Scartozzi, padre della nostra prof di francese, il 14 febbraio abbiamo fatto un tuffo indietro nel tempo. La scuola, le materie, gli inni, la disciplina, la divisione in classi maschili e femminili e l’inquadramento della gioventù fascista, si sono materializzati davanti a noi. Ci ha molto colpito l’insegnamento della ‘cultura della guerra’. "Nell’autunno 1943 – racconta – avevo iniziato la prima media con tanti sogni e progetti, ma già a Natale eravamo in difficoltà: non c’era il riscaldamento e a quei tempi faceva molto freddo, non si trovavano gli indumenti e alcuni non avevano nemmeno le scarpe. Battevamo i denti. A gennaio l’orario fu ridotto a un solo giorno. Per il resto dovevamo fare i compiti assegnati. Poco dopo, per motivi di sicurezza decisero di farci restare a casa e la scuola fu ridotta ai minimi termini". Se da una parte la sua infanzia è stata difficile per le privazioni e i sacrifici dovuti alla guerra, dall’altra è stata motivo di grande soddisfazione per aver visto l’Italia risollevarsi nel dopoguerra aprendosi alla democrazia e libertà. Nitido il ricordo della liberazione di Fermo. "Il 20 giugno 1944 mio cugino mi chiamò per andare a vedere l’arrivo degli alleati. Corremmo sul belvedere ad ammirare i carri armati. Avevo già visto la ritirata tedesca, le colonne di carri trainati dalle mucche prese ai contadini. Fu festa grande, come un carnevale. In seconda media le aule divennero quartieri generali, così le lezioni si facevano a turno, mattino o pomeriggio. Non fu facile studiare al lume di candela. Il terzo anno fu regolare. Superati gli esami, mio padre in premio mi portò a Roma". Questa esperienza ci ha fatto capire come la scuola rappresenti una reale opportunità di crescita per tutte le generazioni, in ogni epoca e circostanze.
Classe II C