Voci ferme, segnate dalla sofferenza ma decise a lanciare un messaggio. Sono le voci dei detenuti nel carcere di Fermo che ieri hanno regalato corpo e anima a donne vittime di violenza, hanno letto le loro storie, si sono messi a disposizione per un messaggio forte e chiaro. Non è mai troppo presto per cominciare a parlare di rispetto, lo si comprende ancora meglio se la riflessione parte dalla casa circondariale, è qui che il prefetto Edoardo D’Alascio ha voluto celebrare la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, insieme con tanti attori della rete antiviolenza del fermano, per parlare con oltre cinquanta classi collegate a distanza. È un impegno verso l’educazione al rispetto, ha sottolineato la vicaria del prefetto, Alessandra de Notaristefani di Vastogirardi, si andrà avanti fino a marzo dando voce alle donne che ce l’hanno fatta, che possono essere d’esempio per tutti. Il punto di partenza per tutti sono i dati del centro antiviolenza di Fermo che registra ogni anno 50 nuove donne che chiedono aiuto, "bisogna continuare a fare sensibilizzazione, insiste il presidente della Provincia Michele Ortenzi, aumentano le segnalazioni ma anche perché siamo riusciti a raggiungere una certa consapevolezza. Prevenzione e certezza della pena sono aspetti cruciali". Davanti alla casa di reclusione campeggia da ieri una panchina rossa, il comune ha dato una mano, i detenuti hanno passato la vernice, a ricordare il sangue versato di tutte le donne che non ce l’hanno fatta: "Sono preoccupato, ha sottolineato il sindaco Paolo Calcinaro, siamo immersi in un clima complesso, penso ad esempio alla musica che i ragazzi oggi ascoltano e che spesso veicola messaggi sbagliati, di mercificazione della donna. Dobbiamo cambiare la cultura del paese". Marina Guzzini, presidente dell’associazione avvocati di famiglia e minori, che raccomanda di parlare con i bambini, fin dalle scuole primarie, per lavorare sulle emozioni sui sentimenti. L’Aiaf ha sostenuto la realizzazione di un murales nella sala colloqui del carcere, il luogo in cui si rovescia il dolore delle donne, mogli, madri, figlie: "L’artista Letizia Ciccarelli ha costruito un mondo che parte dal bianco e nero e arriva fino al colore della speranza, al cambiamento che deve partire da dentro di noi. Speriamo che possa dare uno sguardo più sereno, un paesaggio aperto al futuro".
La direttrice del carcere Serena Stoico pensa proprio a quelle donne: "Anche loro sono vittime incolpevoli, anche loro hanno un dolore da sopportare. Una sala colloqui che le accolga con i colori della speranza può essere un messaggio. La Prefettura ha fortemente voluto che il carcere prendesse parte alla rete anti violenza, non c’eravamo prima e per noi è essenziale essere parte di una comunità che ci può aiutare a ricostruire l’esistenza delle persone qui ristrette". Quando parlano loro, i detenuti, ci mettono tutto quello che possono, per leggere parole intense e toccanti, parole che hanno dentro il valore della libertà. L’avvocato Alessandro Calogiuri, che spesso si è trovato a gestire casi di violenza di genere, riconosce in quelle parole le giustificazioni e la negazione che a volte le vittime stesse si fanno: "Il mostro non esiste, chi colpisce è una persona normale che mostro non sembrava. Il problema è che nessuno sembra vedere niente, non ci si accorge dei segni, degli occhi tristi, della sofferenza. Ciascuno può fare qualcosa, nella relazione tra due persone non è normale il controllo ossessivo, non va bene che ci sia una gelosia soffocante, non è amore". L’associazione Congerie ha accompagnato i detenuti nell’interpretare le parole del dolore, hanno poi portato la loro storia, hanno scelto anche un brano di Joyce Lussu, scrittrice, femminista, partigiana.
Angelica Malvatani