REDAZIONE FANO

"Tomba di famiglia negata". L’ex assessore: "Ecco perché"

"Se facessimo costruire, finirebbe troppo presto lo spazio pubblico per fornire a tutti quanti pari dignità". .

"Se facessimo costruire, finirebbe troppo presto lo spazio pubblico per fornire a tutti quanti pari dignità". .

"Se facessimo costruire, finirebbe troppo presto lo spazio pubblico per fornire a tutti quanti pari dignità". .

Tomba di famiglia negata, interviene l’ex l’assessore Cristian Fanesi. In merito all’articolo pubblicato giovedì scorso, in cui Claudio Placci, ingegnere fanese di 82 anni, si diceva deluso e amareggiato, dopo il diniego ricevuto per la costruzione di una cappella di famiglia al cimitero dell’Ulivo, Fanesi chiarisce che la sua posizione non è stata malevola ma ha tenuto conto delle regole vigenti. "Il Comune di Fano – spiega l’ex assessore di centrosinistra –, a memoria d’uomo, non ha mai concesso nuovi spazi per cappelle private all’interno dei cimiteri. Quelli concessi, nella stragrande maggioranza dei casi, risalgono a oltre 100 anni fa. Anche per ragioni di spazio si è sempre scelto di realizzare sepolture pubbliche e non edificare zone per cappelle private. Le uniche realizzate da poco sono state fatte per sostituire quelle abbandonate (i cui eredi non erano rintracciabili) e sono state messe all’asta".

Fanesi solleva poi una questione di armonia architettonica: "Costruire cappelle private al cimitero dell’Ulivo sarebbe stato tradire in parte il progetto iniziale, che era molto articolato, composto da volumi fuori terra e ipogei. Il cimitero, tra l’altro, è inserito tra le opere di grande valore per l’architettura contemporanea dal Ministero della Cultura". Infine l’ex assessore precisa: "Considerato che per i motivi esposti non è possibile costruire nuove cappelle di famiglia, conta poco la mia visione egualitaria e la mia personale convinzione, ovvero che se facessimo costruire a chi può nuove cappelle private, finirebbe troppo presto lo spazio pubblico, per fornire a tutti quanti pari dignità per i propri cari".

Marco D’Errico