
Il calvario, lungo un anno, è culminato. con l’intervento dei carabinieri
Una storia di violenza e rinascita, quella di una giovane madre che ha trovato il coraggio di denunciare i maltrattamenti subiti dal compagno e dall’ambiente familiare in cui viveva. Trasferitasi a Fano per amore, e con il sogno di costruire una famiglia, questa trentenne ha affrontato un calvario lungo un anno e culminato nell’ottobre scorso con l’intervento dei carabinieri e l’applicazione del "Codice Rosso".
Il compagno, un 40enne fanese, con cui aveva una relazione da anni, è ora sottoposto dal GIP di Pesaro alla misura del braccialetto elettronico con divieto di avvicinamento e comunicazione, dopo episodi di violenza fisica e verbale, inclusa una minaccia con le forbici che ha messo a rischio la vita della donna e della sua bambina di pochi mesi. Tutto nasce e si sviluppa in un ambiente familiare ostile. La madre del compagno, descritta dalla giovane come "una presenza invadente e destabilizzante", ha avuto un ruolo cruciale nell’aggravare le difficoltà dell’uomo a costruire le fondamenta di una relazione sana.
"Abitavamo sopra di lei e le sue interferenze erano costanti - ci ha raccontato la giovane -. Mi screditava davanti ai familiari, mi accusava di essere pazza e denigrava la mia persona, isolandomi ancora di più. Mi sentivo intrappolata, senza una rete di supporto, in una realtà distante anni luce dal mio contesto culturale e sociale d’origine". Oltre al clima di tensione, la donna ha dovuto affrontare episodi di grave negligenza. Nella casa della suocera, infatti, era stata installata una stufa con una canna fumaria rudimentale che per arrivare al tetto passava per il suo soggiorno. "Una mattina, con la bambina di pochi mesi, ho iniziato ad avvertire un forte mal di testa e a vomitare. Ho dovuto chiamare i soccorsi da sola perché la nonna non è nemmeno intervenuta per vedere come stavamo. Gli esami del sangue hanno rilevato un’intossicazione lieve da monossido di carbonio". L’intervento dei vigili del fuoco ha svelato una situazione pericolosa: il tubo della stufa era tenuto insieme con del nastro adesivo. In tutto questo, per fortuna, la bambina di pochissimi mesi non ha riportato danni, ma l’episodio ha segnato un punto di non ritorno per la mamma. Ora la donna vive in una località segreta, dove ha iniziato a ricostruire la sua vita. Ha scelto di condividere con noi alcuni dettagli della sua storia, chiedendo il massimo riserbo, per aprire una riflessione più ampia sulle dinamiche della violenza.
"Non importa quanti strumenti personali o culturali una persona abbia, chiunque può cadere in situazioni di abuso. Questo non riguarda solo chi è più semplice e vulnerabile, ma anche persone strutturate e di cultura. Chiunque può compiere atti gravi e imperdonabili". La vicenda non è solo un grido di denuncia, ma un appello a chi si trova in situazioni simili. "Non bisogna mai sentirsi colpevoli o inadeguati per ciò che si subisce. Io per fortuna ho reagito presto, ma mi ci vorranno comunque tanti anni di lavoro su me stessa, per ritrovare la serenità". Dal racconto della giovane, che ora è tornata al suo lavoro, emerge anche quanto sia importante sensibilizzare la comunità sui temi della violenza e dell’indifferenza: "Il vero problema non è solo il carnefice, ma l’inerzia di chi sa e non interviene. Troppi familiari e conoscenti si sono tirati indietro, lasciandomi sola. Questo fa male quanto la violenza stessa".
Tiziana Petrelli