Papetti
Appare come una sfida al pressapochismo della programmazione culturale di varie istituzioni pubbliche quella perseguita con coerenza dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, che da qualche anno promuove varie iniziative dedicate all’arte italiana del Novecento, nate da un progetto di Carlo Bruscia: si tratta dell’unica istituzione che nelle Marche abbia avviato un programma organico di mostre e di incontri che siano fra loro legate da un fil rouge che quest’anno si appunta su una delle figure più interessanti dell’arte italiana, Osvaldo Licini, con una esposizione che presenta quaranta opere dell’artista marchigiano provenienti dalla Galleria d’Arte Contemporanea “Osvaldo Licini“ di Ascoli Piceno, dal Mart di Rovereto e da varie collezioni private, completata da un video che mostra i luoghi del cuore di Licini e da voce a vari appassionati dell’opera dell’artista marchigiano.
Pittore “Errante, erotico, eretico“, come lui stesso amava definirsi, Osvaldo Licini nacque nel borgo di Monte Vidon Corrado nel 1894 e frequentò l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove ebbe compagno di studi Giorgio Morandi con il quale, contagiato dallo spirito ribelle del Futurismo, realizzò nel 1914 la sua prima mostra presso l’Hotel Baglioni. Ferito durante un’azione bellica nel 1916, Licini trascorse la convalescenza a Parigi dove da tempo risiedevano i genitori e nella capitale francese ebbe modo di frequentare Modigliani, Cezanne, Matisse e Picasso, esponendo le sue opere in varie mostre collettive.
Nel 1926 Licini decise di trasferirsi nel remoto borgo natio dove riteneva che, lontano dal caos della grande metropoli, avrebbe potuto trovare la concentrazione necessaria per portare avanti la sua attività accanto alla giovane moglie, la pittrice svedese Nanny Hellstrom che aveva conosciuto a Parigi. Agli anni Trenta risalgono le sue opere astratte ed i contatti con la galleria milanese “Il Milione“ che lo vedono dialogare con gli altri esponenti dell’astrattismo italiano pur interpretando la ricerca geometrica in modo assai autonomo. Afferma in quegli anni che riconosce la poesia anche nella geometria. Negli anni Quaranta approda ad una sorta di personale interpretazione del Surrealismo (si definisce allora "surrealista a modo mio") che si concretizza nella elaborazione delle più note icone liciniane come le Amalassunte, visioni lunari che nel nome uniscono la perfidia della regina dei Goti alla bontà della Vergine Assunta , e gli Angeli Ribelli, figure autobiografiche di esseri alati dotati di corna e di coda.
Dopo aver partecipato a varie edizioni della Biennale di Venezia, nel 1958 gli venne dedicata una mostra monografica curata da Giuseppe Marchiori e Licini ricevette il Gran Premio Internazionale della Pittura dalle mani del Presidente della Repubblica Gronchi. Soltanto un mese più tardi l’artista si spegneva nella amata dimora di Monte Vidon Corrado oggi divenuta una casa museo. Il titolo della mostra fanese “In volo con Licini“ intende evocare la vocazione onirica e surreale che caratterizza le opere dell’artista marchigiano a partire dalla fine degli anni trenta quando, dal suo pensatoio sui monti sibillini, egli si avventura nei cieli della fantasia, popolati da figure fantastiche nelle quali si rispecchia il suo pensiero e la sua visione del mondo. La sua passione per la letteratura, testimoniata da molti volumi e riviste della sua biblioteca presenti in mostra, lo porta a confrontarsi con Leopardi, con il quale finisce per identificarsi: il Leopardi che dialoga con la natura, che contempla la luna e si avventura a scrutare l’infinito oltre il limite della siepe è sentito da Licini come un fratello in spirito, un compagno di strada nello sconfortante percorso interiore che anche il pittore compie nel suo volontario esilio a Monte Vidon Corrado. Il poeta di Recanati è quindi per lui guida nelle riflessioni sul destino del mondo e dell’uomo dalle quali sono scaturite le più commoventi icone liciniane.