TIZIANA PETRELLI
Cronaca

“Cinefortunae“, omaggio ai miti. Ettore Scola raccontato dalla figlia

Per celebrare il centenario di Marcello Mastroianni, oggi a Fano proiezione di “Una giornata particolare“

“Cinefortunae“, omaggio ai miti. Ettore Scola raccontato dalla figlia

Per celebrare il centenario di Marcello Mastroianni, oggi a Fano proiezione di “Una giornata particolare“

Giovedì “Cinefortunae“ – rendendo omaggio a Marcello Mastroianni nel centenario della sua nascita – accende i riflettori anche su Ettore Scola, proiettando alle 21 sul maxi schermo di piazza XX Settembre Una giornata particolare (1977, 103’).

Tra il pubblico ci sarà anche Silvia Scola, figlia del compianto protagonista della grande stagione della commedia italiana d’impegno: regista e sceneggiatrice anche lei, che arriva in città per presentare (alle 19.15 nei Giardini della Memo) Chiamiamo il Babbo. Ettore Scola. Una storia di Famiglia un racconto tra vita privata e aneddoti, scritto assieme alla sorella Paola.

Che padre è stato Ettore Scola?

"E’ stato un privilegio nel suo essere particolare. Nonostante il lavoro – risponde la figlia Silvia – lo portasse lontano è sempre stato presente. Una vicinanza continua, anche se al telefono, perché era innamorato della famiglia. La sua grandezza poi era qualcosa che ovviamente c’era, però in casa entrava relativamente poco".

E’ un caso se sua madre Gigliola, lei e Paola ne avete seguito tutte le orme?

"Il fatto che fosse molto immerso nel suo lavoro, ha fatto sì che ci coinvolgesse tantissimo. A partire dalle sceneggiature (che faceva leggere subito a mia madre, ma anche a noi bambine per avere dei pareri), al set, al doppiaggio, al missaggio, alla post produzione. In tutte le occasioni in cui poteva, ci ha tirato dentro. Ecco perché nel libro parliamo anche un po’ di “bottega“. Lui aveva una concezione artigianale del lavoro: seguiva ogni fase come il professionista caporeparto e diceva di non essere un artista ma un artigiano".

Con suo padre ha firmato numerose sceneggiature. Qual è quella a cui è più legata?

"Sicuramente la prima, Che ora è? non solo perché è stato il primo film scritto insieme, ma per la sua stessa natura. Racconta una giornata tra un padre e un figlio. E’ stato molto bello lavorare insieme su questo tema invertendo le generazioni: io scrivevo il padre e lui il figlio. L’altro è il docufilm Che strano chiamarsi Federico, l’ultimo della sua filmografia, il più complicato perché era il ventennale della morte di Fellini e abbiamo avuto 8 mesi: dall’idea all’ultima copia campione dopo la post produzione. Lui poi non lo voleva fare".

Nello stesso periodo ha firmato assieme a sua sorella un docufilm su vostro padre: “Ridendo e scherzando – Ritratto di un regista all’italiana“.

"Ce lo ha chiesto lui nel 2012. Ha fatto giusto in tempo a vederlo. E’ morto tre mesi dopo l’uscita. Erano infatti anni che riceveva richieste di ritratti da tutto il mondo. L’ultima da due studentesse giapponesi. E allora lui ha detto: “ma perché dei giapponesi devono fare il ritratto di me? Sarà meglio che lo facciate voi due che mi conoscete“. Durante la stesura diceva “Starete facendo tutta una cosa celebrativa, agiografica, noiosissima“. La sorpresa è stata vedersi da vicino, ingrandito con la lente dell’ironia che gli era propria. E’ stato quindi molto contento del risultato, perché non l’avevamo disturbato se non per le parti recitative in cui serviva. Però alla domanda dei giornalisti “è contento del ritratto che le hanno fatto le sue figlie?“ lui ha risposto “beh non ho trovato elementi per querelarle“. Questo è stato il suo massimo plauso".

Che ricordi ha del periodo in cui lavorava a “Una giornata particolare“?

"Per mio padre è stato un lavoro come tanti altri. Io invece avevo 15 anni, ero una femminista abbastanza agguerrita. Quindi a vedere questo film che raccontava per la prima volta, oltre che gli omosessuali anche le donne, con quella grazia ed empatia… fui orgogliosissima che mio padre, maschio, avesse fatto un ritratto così di queste due solitudini".

Che rapporto aveva con Mastroianni?

"La loro amicizia era fraterna. Si sono accompagnati tutta la vita, sul set e fuori. Intellettualmente e caratterialmente erano diversi, ma umanamente molto simili. Avevano una grande sintonia. Poi Marcello – conclude Silvia Scola, figlia del grande regista – era molto spiritoso, quindi anche uno stare insieme in continua allegria".