Bologna, 7 settembre 2024 – "I depistaggi ci lasciano interdetti ancora oggi. È stata una stagione di guerra irripetibile e immotivata". A parlare è Alberto Capolungo, insegnante di lettere in pensione e figlio di Pietro, l’ex carabiniere ucciso dalla banda della Uno Bianca durante l’assalto all’armeria di via Volturno il 2 maggio 1991. Capolungo è, da ieri, il nuovo presidente dell’associazione Vittime della Uno Bianca, succede a Rosanna Zecchi che lascia dopo 26 anni al vertice. "Un passaggio di consegne all’insegna della continuità. Continuerò ad avvalermi della collaborazione di Zecchi", anticipa.
Capolungo, di quella stagione di sangue è stato tutto chiarito o ha trovato ’muri’ davanti alle richieste di verità?
"Come associazione abbiamo sempre trovato grande disponibilità da parte delle forze dell’ordine, ma ci sono tante cose che ci lasciano perplessi".
Ad esempio?
"Tanti appartenenti alle varie armi, anche di alto grado, hanno fatto deposizioni inconcludenti. Così come ci lasciano interdetti i depistaggi fatti negli anni, ad esempio sul ruolo dell’ex brigadiere Domenico Macauda. Oppure il fatto che, in sede processuale, avevamo accanto a noi l’avvocato dello Stato, se bisognava dimostrare la colpevolezza dei Savi. Ma lo Stato era contro di noi quando chiedevamo che fosse dichiarata la responsabilità del ministero degli Interni sulla vicenda. Alla fine, il Viminale ha vinto in Cassazione, giustificandosi col fatto che ‘chi ha agito lo ha fatto quando non era in servizio’".
Nel maggio 2023 alcuni famigliari delle vittime, tra cui Ludovico Mitilini, hanno presentato un esposto in Procura. Lei lo ha firmato?
"No. La signora Zecchi, io e il direttivo non eravamo tra i firmatari, ma solo perché esso fu presentato prima che ne potessimo avere lettura integrale".
Pensa che produrrà dei risultati?
"Mi auguro che qualcosa di buono ne possa scaturire, per esempio sul depistaggio Macauda e su eventuali complicità finora non emerse".
Quindi crede ci sia stato un livello superiore ai fratelli Savi?
"Non è mai emerso e dubito che lo si possa trovare. Vero è che tanti delitti restano incomprensibili e che si poteva fare di più – e meglio – per interrompere prima l’attività della banda".
Fino al momento dell’assalto all’armeria, in cui fu uccisa anche Licia Ansaloni, qual era l’opinione di suo padre, da ex carabiniere, su quegli eventi?
"Anche come cittadino era esterrefatto da episodi come quelli del Pilastro. Avrebbe detto che sono uomini che hanno infangato l’onore della divisa".
Lei invece?
"Da insegnante, accompagnai i miei alunni ai funerali dei ragazzi uccisi il 4 gennaio 1991 al Pilastro. Mai avrei pensato che, quasi 4 mesi dopo, sarebbe toccato a mio padre".