Bologna, 19 dicembre 2023 – Il nodo della ricandidatura dei presidenti di Regione che hanno già fatto due mandati (e quindi non rieleggibili) divide trasversalmente gli schieramenti. In tutto i nomi sono sette. Quattro appartengono al centrodestra: il leghista Zaia (Veneto), il secondo leghista Fedriga (Friuli Venezia Giulia), il terzo leghista Fontana (Lombardia) e l’unico forzista, Toti (Liguria). Tre sono di centrosinistra, tutti Pd: Bonaccini (Emilia-Romagna), De Luca (Campania) ed Emiliano (Puglia). La Lega preme per cambiare la legge che impedisce la ricandidatura ai suoi tre alfieri, ma Fratelli d’Italia e Forza Italia frenano. Il motivo è semplice: le tre regioni in questione possono essere abbastanza tranquillamente riconquistate anche cambiando cavallo, senza per forza mettere in campo un uomo del Carroccio. I rapporti di forza nel centrodestra sono parecchio cambiati, Meloni pesa molto più di Salvini: perché regalare all’alleato tutte quelle poltrone?
Nel centrosinistra il discorso è diverso. Elly Schlein non vorrebbe ricandidare i tre uscenti. E anche se volesse fare uno strappo alla regola per due di loro (Bonaccini ed Emiliano) non potrebbe farlo senza concedere il tris anche all’odiato De Luca. Però Schlein sa che rischia di perdere e quindi è titubante. In un colloquio comparso ieri sul Foglio, il governatore della Toscana Giani ha annunciato che la segretaria è favorevole a rivedere la legge dei due mandati. Nel Pd molti, da De Maria e Del Rio, sperano nel tris di Bonaccini. E lui? Nei giorni scorsi, ha risposto a Bignami (FdI) con una battuta che sapeva di sfida: "Siccome avete sempre detto che ci vorranno anni per ricostruire dopo l’alluvione, immagino che sarete coerenti e darete il via libera al possibile mio terzo mandato”. Ora la partita si trasferisce a Roma. Per una volta gli interessi del Pd e quelli della Lega potrebbero saldarsi.
“Non ho mai capito bene questo problema del limite dei mandati, mi sembra una cosa richiesta più dai politici per poter avere delle chance in più nelle loro carriere interne che da parte della gente". Paolo Pombeni – politologo, professore emerito dell’Università di Bologna e autore di numerose pubblicazioni, l’ultima, appena uscita per il Mulino, sulla Storia della Democrazia Cristiana – interviene così nella querelle sul terzo mandato dei sette presidenti di regione arrivati a fine corsa, tra i quali Stefano Bonaccini.
Cosa non funziona secondo lei?
"In un sistema di libera competizione non dovrebbe esserci più di tanto il problema dell’accumulo del potere. Una cosa era la presidenza degli Stati Uniti, dove c’era il problema di evitare che ci fosse il monarca elettivo, cosa diversa sono i ruoli di tipo amministrativo. Dovrebbe essere nella fisiologia del sistema evitare le dinastie, persone che stiano al potere per una vita, ossia il Putin di turno. Il terzo mandato non mi sembra di per sé rientrare in questa dimensione".
In Italia però abbiamo avuto casi di presidenti di Regione che sono stati in carica molto a lungo. Penso a Formigoni in Lombardia.
"Quello è un problema importante, legato alla funzionalità del sistema politico, che deve essere in grado di evitare che si creino gli zar del sistema. Anche se noi mettiamo il vincolo del terzo mandato, chi deve lasciare trova il modo di imporre il suo successore, come stiamo vedendo a Firenze e da altre parti. Questo non crea chissà quanta democrazia in più".
Che profili dovrebbero avere i prossimi candidati del centrosinistra e del centrodestra in Emilia-Romagna?
"Devono essere persone in grado di esercitare una leadership reale sulla società nel suo complesso, non semplicemente sugli elettori della propria parte. Noi abbiamo bisogno di ricostruire il tessuto sociale. Io sono molto favorevole al fatto che ci sia il sistema delle primarie, perché questo crea un minimo di competizione e di confronto del tutto necessario. Non è la perfezione in senso assoluto, ma è meglio di niente. Eviterei la successione all’interno dei caminetti dirigenti. Andiamo incontro ad anni molto difficili, perciò ci vogliono persone con molta capacità di leadership. I politici non ne tengono conto quasi mai perché tutti fanno finta di essere in possesso di questa caratteristica, peccato che non sia vero".
Ci può fare qualche nome o delineare un profilo?
"A me non ne viene in mente uno, né a destra né a sinistra. Il candidato, poi, va costruito e accreditato. Bisogna trovare una persona che faccia un percorso lungo e che abbia modo di mostrare le sue qualità".
Alla fine quindi lei vede meglio un candidato civico?
"Sono convinto che la selezione delle classi dirigenti passi sempre più al difuori dei partiti. I partiti si offendono molto per questo, ma è così".
Come sarà quindi questa lunga campagna elettorale?
"Quello che mi augurerei è che ci fosse un grande dibattito sul futuro di questa regione che coinvolga il maggior numero possibile di intelligenze e di sensibilità. Non la solita lagna di chi ha la bandierina di sinistra o di destra e demonizza l’avversario. Facciamo un discorso forte, in un mondo che sta cambiando in maniera sempre più ampia e difficile da governare, con il massimo di armonia possibile".