Il processo a Bio-On si avvia alle battute finali. E il difensore dell’ex presidente e fondatore della start up delle bioplastiche divenuta in tempi record ’unicorno’ (ossia arrivata a valere un miliardo in Borsa) e poi ancora più in fretta crollata dopo l’inchiesta della Guardia di finanza nata dal feroce report del fondo speculativo statunitense Quintessential, che definì l’azienda "una nuova Parmalat" e "castello di carte", ne ha chiesto a gran voce l’assoluzione. "La Procura è stata abile, ma la tesi dell’accusa ha un limite – tuona dunque il professor Tommaso Guerini, avvocato di Marco Astorri sempre presente in aula – : è un unico blocco di marmo, liscissimo e senza appigli, che o si accetta in toto, o si rigetta. Ecco io credo che a guardarlo da vicino questo blocco sia in realtà pieno di crepe e buchi. Si assolva il mio assistito".
Il processo di primo grado davanti al giudice Domenico Pasquariello dura ormai da oltre un anno. Alla sbarra, con le accuse a vario titolo di bancarotta fraudolenta impropria, distrazione e tentato ricorso abusivo al credito, ci sono nove persone; oltre all’ex Astorri, anche il suo vice Guido Cicognani, il presidente del collegio sindacale Gianfranco Capodaglio, poi i revisori dei conti e i membri del consiglio Gianni Bendandi, Vittorio Agostini, Pasquale Buonpensiere, Vittorio Folla, Gianni Lorenzoni e Giuseppe Magni.
Per Astorri, la scorsa settimana la Procura – procuratore aggiunto Francesco Caleca e sostituto Michele Martorelli – aveva chiesto una condanna a 10 anni: Caleca aveva paragonato la start up che prometteva una rivoluzione nel campo delle bioplastiche a "quei vecchi souvenir che si vendevano in Campania con dentro l’aria di Napoli, molto belli ma vuoti, dato che l’azienda non possedeva la tecnologia che diceva di avere".
Il professor Guerini, nel difendere il proprio assistito, ha tenuto una lunga arringa, divisa in tre udienze e durata in totale oltre 11 ore. "L’accusa contesta false comunicazioni sociali che, ritiene, sarebbero state funzionali a sorreggere la narrazione data al mercato da Bio-On di una realtà solida e con rosee prospettive, che però non trovava riscontro nella tecnologia in suo possesso. Eppure le perizie hanno stabilito che il grado di maturità tecnologica dell’azienda fosse più elevato di quanto sostiene la Procura, quindi i prodotti potevano essere commercializzati e trasferiti in licenza, come accaduto – prosegue l’avvocato – . L’azienda stava andando avanti secondo un percorso regolare, altrimenti perché investire decine di milioni nella costruzione dell’impianto a Castel San Pietro, se si voleva nascondere un’incapacità tecnologica? Non fu sfoggio inutile di potere e danaro, né una scelta estetica. si voleva dotare Bio -On di un impianto che reggesse la capacità di sviluppo dei successivi 20 anni".
Il dissesto di Bio-On, per la difesa, sarebbe stato creato non "da una gestione criminale, ma dal combinato disposto di una serie di eventi che con le false comunicazioni sociali non c’entrano. Come gli arresti e le misure ai vertici del cda e al collegio sindacale dopo il report, con il sequestro dei beni di tutti i soci che potevano sorreggere il fabbisogno di quel momento. Da qui l’immediata insolvenza. Se la Procura avesse avuto più pazienza, questa storia sarebbe finita diversamente: che fretta c’era di fare precipitare tutto?".
Per quanto riguarda la bancarotta per distrazione, "ai nostri assistiti viene contestato di avere distratto circa 450.000 euro, ma a settembre ’19 Astorri vi immise 4 milioni e mezzo, prima dunque del fallimento". Chiude l’avvocato Guerini: "La vita di Marco Astorri è piena di colpi di scena, ma non sta a noi raccontarla, così come non è questa la sede per dire se il progetto di Bio-On fosse valido o meno. Ci basta la verità processuale, raccontata dalle prove emerse nel contraddittorio".