Bologna, 4 maggio 2023 – C’è uno studio del 2021, targato Università di Modena e Reggio, che parla chiaro: l’argine di un fiume in condizioni ordinarie regge cent’anni. Ma se in quel tratto vivono animali come tassi, istrici o nutrie, la vita di quell’opera essenziale per la sicurezza idraulica cala drasticamente: 10 anni al massimo, mese più, mese meno. "Guarda caso, proprio la frequenza dei fenomeni che osserviamo nel nostro Paese", rileva Stefano Orlandini, professore ordinario di Costruzioni idrauliche all’Unimore che di quello studio è anche uno degli autori. Argini-groviera dunque per ’colpa’ degli animali, che li rendono un gomitolo di cunicoli e tane, ma nelle rotte dei fiumi delle ultime ore in Emilia-Romagna, concordano gli esperti, c’è molto di più: mancate manutenzioni, mancata prevenzione, mancata pianificazione.
Emilia Romagna verso lo stato di emergenza nazionale
“No, non è normale che gli argini collassino così", incalza il professor Orlandini che quando il Secchia ruppe, il 19 gennaio 2014 nel Modenese, studiò il fenomeno rilevando il ruolo determinante giocato dagli animali fossori. "Sono specie protette e nessuno, io per primo, li vuole sterminare – aggiunge –, ma proprio perché esistono occorre trovare un adattamento". In alcune limitate zone sono stati avviati progetti di cattura e spostamento di esemplari "ma un controllo capillare del loro numero è impossibile, l’impiego di reti elettrosaldate negli argini per limitarne l’escavazione avrebbe costi proibitivi e, in determinate condizioni, quei materiali tendono pure al deterioramento". La convivenza è possibile allora per il docente solo studiando un corretto dimensionamento degli argini. "C’è la tendenza a costruire argini sempre più alti, come fosse quella la soluzione – spiega –, in realtà un argine più spesso ha più risorse di uno stretto e alto". Tutto qui? Non proprio. "Animali a parte, la base di partenza deve essere la manutenzione – prosegue Orlandini –. Sedimenti e vegetazione nei fiumi aumentano la permanenza dell’acqua, quindi la pressione sugli argini. E dove possibile occorrono sezioni fluviali più ampie, anche trovando accordi con i proprietari dei terreni. Perché abbiamo raggiunto il paradosso che spendiamo più di danni che in prevenzione dei fenomeni".
Sulla priorità alla sicurezza della collettività fa eco anche Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna. Che rincara la dose. "Il problema della fauna non si risolve, va gestito – spiega –, mentre su tutto il resto abbiamo le competenze per intervenire. Bisogna iniziare ad affrontare il problema con una visione almeno ventennale e non di rattoppo, e di conseguenza comportarsi". Due le direttrici da seguire per il geologo: a monte di un corso d’acqua, puntando sul rimboschimento "per trattenere l’acqua", mentre a valle "smettere di alzare gli argini e ampliare le casse golenali, creando spazi di laminazione" tenendo conto che "in un territorio fortemente antropizzato, cementificato il consumo di suolo zero deve essere davvero la priorità".
Quanto verificatosi in Emilia-Romagna "è indice che problemi ce ne sono, facciamo fatica a giustificare tutto con i cambiamenti climatici – incalza Antolini – e visto che la diga di Ridracoli aveva tracimato non molto tempo fa, vuol dire che qualcosa quest’inverno era pur piovuto in Romagna. Fondovalle stretti, con argini vetusti come quelli necessitano di manutenzioni, come per qualsiasi immobile. Spendiamo in bonus facciate, per la sicurezza dei cittadini occorre fare uno sforzo in più. A partire dal dimensionare gli uffici pubblici che seguono il settore con il giusto organico e tecnici adeguati".