Bologna, 8 settembre 2023 – Sos infermieri: la carenza si fa sentire ed è venuto il momento di fare i conti con gli addetti ai lavori. Secondo Pietro Giurdanella, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Bologna e coordinatore degli Ordini dell’Emilia-Romagna, mancano circa 2.800 infermieri nelle fila del Servizio sanitario regionale, per Antonio Buzzi, presidente di Confcooperative Federsolidarietà Emilia Romagna, nelle strutture socio-sanitarie la carenza sfiora quota 3mila. Giurdanella precisa che "secondo la Fnopi, Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, gli infermieri sono 29.302 – dato riferito al 2022 –, di cui 23.551 donne e 5.751 uomini. La carenza in Regione è stimata in circa 1.300 infermieri negli ospedali e, per le esigenze del Pnrr sul territorio, ne servono altri 1.500 di famiglia e di comunità".
Buzzi, com’è la situazione nel vostro settore?
"La difficoltà è iniziata da almeno cinque anni e adesso è drammatica. Se non troviamo in fretta una soluzione, i nostri servizi sono a rischio", risponde il presidente regionale di Confcooperative Federsolidarietà, a cui fanno capo 460 cooperative sociali che svolgono servizi di assistenza alla persona, in particolare fragili e anziani.
Avete più problemi rispetto al pubblico?
"Certamente. Le prime strutture ad aver risentito della carenza di infermieri sono le cosiddette Rsa, residenze sanitarie assistenziali".
Come mai?
"Le strutture per anziani e disabili non sono in cima alle aspettative di carriera dei professionisti sanitari che cercano di andare verso sanità pubblica e privata, anche perché da noi le retribuzioni sono più contenute, tra il 10-12% in meno. Ecco i motivi della carenza".
Quanti infermieri vi mancano?
"Nelle Rsa dell’Emilia-Romagna il numero oscilla tra i 2.500 e i 3mila, su un totale di circa 11mila dipendenti. Quindi almeno 30% in meno".
Va meglio con gli operatori socio sanitari?
"No. La carenza si sente anche qui. Su circa 40mila operatori, ne mancano tra i 2.500 e i 4mila, ossia tra il 5 e il 10%. E i problemi sono destinati a peggiorare, perché chi rimane deve affrontare carichi di lavoro difficilmente sopportabili e quindi molti continuano a uscire dal mondo socio-sanitario per cercare altri lavori. Quindi, le attività sono troppo usuranti e le professionalità non sono riconosciute a livello economico".
Ha soluzioni da proporre?
"Sì. Bisogna fare in modo che i giovani infermieri laureati abbiano prospettive di carriera e di stipendi adeguati. Inoltre, si dovrebbero organizzare ritmi di lavoro sostenibili, introducendo una nuova figura professionale".
Quale?
"L’operatore socio sanitario specializzato, al quale affidare alcune mansioni del livello infermieristico di base. Una figura da collocare tra gli infermieri e gli oss. Gli oss interessati potrebbero migliorare il loro percorso professionale e reddituale".
A chi si rivolge?
"Il mio appello è rivolto alla Regione e in particolare agli assessorati alla sanità, alla formazione professionale e al welfare. Se la Regione prende questa decisione, in sei mesi si potrebbe partire. Ma bisogna fare in fretta. Il Veneto, per esempio, ha già questa nuova figura".
Nel frattempo, lei prosegue il reclutamento degli infermieri?
"Certo, ma non è facile. Gli ultimi 35 nuovi ingressi siamo riusciti a farli arrivare lo scorso anno: si tratta di infermieri provenienti dall’estero, in particolare dall’India, dall’Albania e dalla Tunisia. Abbiamo investito 400mila euro tra spese di viaggio, il sostentamento iniziale, fino a quando non hanno potuto lavorare, i costi degli alloggi e dei trasporti. Tra i 10 e i 12mila euro per ognuno di loro. È la mia esperienza da presidente del Consorzio Solco di Ravenna, altrimenti non avrei potuto inaugurare una Rsa da 136 posti. Ma questa non può essere la soluzione, vale solo in emergenza".