Casola Valsenio, 22 dicembre 2024 –
Un’alluvione dopo l’altra, una frana dopo l’altra, qui, a Monte Battaglia fra Casola Valsenio e Fontanelice – dove le province di Ravenna, Bologna e Firenze si scontrano e si abbracciano – le cicatrici della terra non hanno ricoperto quelle della memoria e del cuore.
I resti della Rocca hanno sempre visto, sul crinale che guarda la Vena del Gesso patrimonio Unesco, assalti, guerre, sangue. Longobardi, cavalieri medievali, Papi in transito su cavalli bianchi, briganti. Il destino del nome, il Monte Battaglia appunto, ritorna anche ottant’anni dopo l’ultimo massacro.
E riaffiora una storia quasi dimenticata da chi non vive le vallate del Senio e del Santerno e le province che disvelano la Romagna fino al mare: quella della piccola Cassino tra Fontanelice e Casola, errore della storia diventato simbolo di fratellanza.
Nel silenzio delle piogge e delle alluvioni quei giorni sono scivolati via. A Monte Battaglia, dal 27 settembre all’11 ottobre del 1944, si contarono migliaia di perdite, feriti, dispersi. Sulle pendici del monte da 715 metri c’erano i ‘Blue Devils’ dell’88esima Divisione USA che con l’aiuto determinante dei partigiani del terzo battaglione della 36a brigata Garibaldi ‘Bianconcini’, comandato da Carlo Nicoli, presero il controllo della porta d’accesso alla pianura padana.
Per giorni, poi, i soldati tedeschi della 44esima e della 715esima Divisione cercarono di riprendersi il Monte. Un rimpiattino con centinaia e centinaia di morti.
Ancora oggi qualche medaglietta e breccia spuntano qua e là, fra le ginestre e gli alberi.
Un metal detector ricorda che nella notte del 4-5 ottobre il 350esimo Reggimento dell’88esima fu sostituito dalla prima Brigata delle Guardie, composta da scozzesi e gallesi della 56esima Divisione britannica.
Gli storiografi non hanno dubbi: ignorata dai bollettini di guerra alleati, Monte Battaglia verrà ricordata come una delle più sanguinose e inutili carneficine di tutta la seconda guerra mondiale. Senza i partigiani, ‘It would have been another Cassino’, sarebbe stata un’altra Cassino, dissero i comandanti.
A Monte Battaglia morirono tutti. Partigiani, alleati, tedeschi, civili. Non l’orgoglio e non il coraggio.
Finì dopo giorni di tira e molla, furono le basi per la Liberazione dell’Emilia-Romagna e del Paese. Sul tramonto dell’ultima estate, una cerimonia ufficiale ha ripercorso i lavori che porteranno alla ristrutturazione della rocca. Ora non è visitabile, ma presto lo sarà e al suo interno si potranno ascoltare tre voci narranti che racconteranno dal punto di vista della torre (la torre bambina, la torre matura, la torre vecchia) la storia millenaria di un teatro di guerra diventato ora luogo di pace.
Non è un caso che tutto questo avvenga a cavallo tra il 2024 e il 2025. Il 2024: l’anno che ricorda l’80esimo dai massacri, dagli eccidi, dalle troppe stragi che hanno devastato famiglie e luoghi a tutti così cari.
Pensate a Marzabotto, con la recente visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella insieme con il collega tedesco Steinmeier, ad ascoltare i familiari delle vittime fra le querce di Monte Sole. Ma anche a Sabbiuno: l’eccidio fu compiuto in due tempi, il 14 e 23 dicembre 1944.
Infine, il 2025: l’anno che celebra l’80esimo della Liberazione, pilastro fondante della nostra società e della nostra democrazia.
Un valore, non solo una data. Non negoziabile. Un valore che appartiene (deve appartenere) a tutti e non va brandito come una clava, ma studiato, difeso, curato, rinnovato, semmai condiviso.
C’è una bella graphic novel su Monte Battaglia (Paolini, Cortesi, Peddes; ed. Blackvelvet) che racconta il ’44 con gli occhi del capitano americano Robert Roeder. Racconta di sbarchi in nave, avanzate, nebbia, pioggia, lanciafiamme, morti, tanti morti. Della Rocca conquistata. E di una nonna che tramanda storie e volti a un nipote. Una delle tante storie della Linea Gotica: quella dei tedeschi che non ripresero mai Monte Battaglia, ma anche quella degli alleati che non raggiunsero il Po prima dell’inverno.
Questo era il fronte della Gotica, come scrive Virna Paolini, con “Castel del Rio che divenne la testa d’ariete dell’avanzata alleata”: le truppe se ne andarono solo nell’aprile del ’45. Monte Battaglia, la piccola Cassino da non dimenticare, è tutto questo.