La maxi-inchiesta Aemilia, ormai dieci anni fa, ci ha fatto capire che le mafie non si erano ’solo’ infiltrate in Emilia-Romagna, ma erano radicate in modo capillare per fare affari in silenzio e riciclare in attività lecite i soldi guadagnati dalle attività illecite. Altre inchieste, nel corso degli anni, hanno confermato questo radicamento della criminalità organizzata in tante zone della nostra regione, lasciando però sempre sullo sfondo Bologna. Tanto che ci si è domandati tante volte come mai la città più ricca fosse la meno colpita dal fenomeno. La risposta è arrivata in questi giorni con l’inchiesta che ha scoperchiato il riciclaggio di capitali sporchi all’ombra delle Due Torri. Una vicenda che conferma, a dir la verità, quello che in tanti dicevano e cioè che anche Bologna è una piazza molto appetibile per le mafie che investono ingenti somme in diversi settori, a partire dalla ristorazione. E non è difficile prevedere che in futuro ci saranno altre inchieste che toccheranno altri soggetti in settori contigui o anche lontani. Il dato peculiare, e preoccupante, dell’operazione della Dda e della Finanza che ha portato all’arresto di Omar Mohamed è che in questo caso le mafie, ossia camorra e ’ndrangheta, hanno stretto un patto di convivenza per riciclare il denaro senza farsi inutili (e troppo chiassose) guerre. L’ha spiegato al ’Carlino’ l’ex procuratrice generale di Bologna, oggi a Torino, Lucia Musti. Una ’santa alleanza’ nel nome dell’illegalità a cui bisogna rispondere con una ’santa alleanza’ nel nome della legalità. Non bastano le inchieste della Procura e delle forze dell’ordine, la lotta alla mafia deve partire dalle scuole e toccare tutti i livelli della società. Le istituzioni, gli enti, i professionisti, i cittadini. Nessuno deve girarsi dall’altra parte e far finta di non vedere. Solo così, tutti insieme, si può battere questo nemico così agguerrito e organizzato.
EditorialeUna ‘Santa alleanza’ contro l’illegalità