ANDREA BONZI
Editoriale
Editoriale

Un condottiero che il Dall’Ara non dimentica

Venti aprile 1999. Stadio Dall’Ara gremito, con trentacinquemila spettatori. Più svariate migliaia di appassionati con gli occhi alla televisione. Semifinale di Coppa Uefa, il Bologna gioca con l’Olympique Marsiglia. All’88, Laurent Blanc gela le speranze dei tifosi.

Finisce 1-1, e non basta: così in alto, però, in Europa non siamo più tornati. Indovinate chi c’era al timone di quegli eroici rossoblù? Carlo Mazzone.

Qualche mese prima, infatti, Mazzone aveva vinto la Coppa Intertoto, guadagnandosi così un palcoscenico internazionale più prestigioso.

Quanti ricordi, legati a Sor Carletto, come lo chiamano a Roma. Sotto le Due Torri c’era già stato una prima volta negli anni Ottanta, e ci ritornerà poi nel 2003-2005 (anno, quest’ultimo, macchiato da una retrocessione maledetta in B, dopo lo spareggio col Parma).

Ma quella cavalcata europea resta indimenticabile. Così come indimenticabile la schiettezza del personaggio, che non la mandava a dire. Polemizzò violentemente con Giuseppe Gazzoni Frascara, proprio un mese dopo la scalata in Uefa ("Qui non resto neanche se mi fa un contratto miliardario”).

Eppure, quando lo stesso patron lo richiama quattro anni dopo, a pochi giorni dall’inizio del campionato e con una piazza in ebollizione, prende la sua valigetta e si dirige verso la via Emilia. E spiega: "Gazzoni mi ha dato una lezione di vita, amo la città e mi piace incontrare i bolognesi”.

Contraddizioni? Tutt’altro. L’indizio di un carattere vulcanico. "Io convivo con un fratello gemello dentro di me. Cerco di essere spiritoso, ma quando sono all’ultima spiaggia devo fare i conti con i miei difetti”. Un rapporto schietto anche con i giocatori. In primo luogo Beppe Signori, bomber prediletto, che lo ricorda come “un secondo padre”.

Del resto, Sor Carletto amava un calcio pratico, ma non certo antiquato: sapeva utilizzare al meglio il materiale umano che gli si metteva a disposizione, valorizzando però ruoli e talenti. Non è da tutti, in un calcio spesso troppo ingessato dagli schemi. Cuore operaio, Mazzone conosceva benissimo l’ambiente in cui lavorava: "Noi del calcio siamo gente privilegiata, dobbiamo essere simpatici e disponibili, fare divertire la gente e meritarci i bei soldi che continuiamo a guadagnare”.

Un bagno di umiltà che servirebbe a molti protagonisti del calcio contemporaneo.