Una violenza fine a se stessa, nata da un presidio per chiedere verità sulla vicenda di Ramy (un semplice pretesto, si è capito in breve tempo), che si è ingigantita con il passare delle ore travolgendo tutto quello che trovava sul suo cammino, dalla sinagoga ai rappresentanti delle forze dell’ordine, dalle strade dello shopping alle Mobike. È in questa somma di odio – quello contro la polizia, quello contro Israele, quello contro il consumismo di alta e bassa gamma – che risiede l’aspetto più oscuro e preoccupante del sabato sera che ha devastato il centro storico e lasciato Bologna più insicura e sperduta.
Perché forse per la prima volta abbiamo visto in azione una forma di rivolta urbana che a queste latitudini conoscevamo solo tramite il cinema, la letteratura o l’informazione, e che invece si è palesata anche per le nostre strade in tutta la sua spietatezza e indecifrabilità.
Difficile trovare motivi politici – anche se tutto è nato dal presidio del solito mondo antagonista in piazza San Francesco relativo alla vicenda di Ramy – complicato immaginarsi che dietro ci siano solo, o prevalentemente, il ‘disagio’ e la ‘rabbia’, formulette stantie per provare a semplificare una realtà molto più complessa. Su cui è bene che tutti aprano gli occhi, soprattutto chi – sport fin troppo diffuso sotto i portici – è tentato di trovare qualche strana giustificazione a quanto successo.
Le indagini stabiliranno eventuali infiltrazioni esterne, chiariranno responsabilità e ci aiuteranno a capire meglio la ‘saldatura’ avvenuta in piazza tra due mondi diversi (gli antagonisti da un lato e dall’altro giovani, in alcuni casi giovanissimi, italiani di seconda generazione senza alcuna connotazione politica evidente), ma c’è una riflessione che tutta Bologna deve fare.
C’è evidentemente una parte di città, anzi una parte di cittadini, che rifiuta le regole della convivenza civile che questa comunità si è data da sempre. Una parte che va contrastata con tutte le forze possibili.
Non è repressione, altra parola usata spesso a sproposito per rivendicare la libertà di devastare e distruggere, ma buon senso.
La condanna politica, finora unanime, di quanto accaduto è un primo passo. Quello successivo sarà fare seguire i fatti alle parole. Senza sconti per i violenti.