VALERIO BARONCINI
Editoriale
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Tra fragilità e ritardi inaccettabili

L’alfabeto alluvionale inizia e finisce con “Perché?”. Una parola, una domanda: ma non c’è risposta. C’è, nei confronti di inermi cittadini allagati per tre volte in poco più di un anno, un silenzio tombale che stride con il ruggito dell’acqua, quella che a Traversara di Bagnacavallo – sputata dal Lamone – ieri mattina ha inghiottito in pochi secondi case-uomini-ricordi-alberi-strade: tutto. E tutti chiedono “perché”. Non “per colpa di chi”. Ma “perché”.

Mettiamo alcuni punti fermi, e poniamo altre domande. In 24 ore in alcune zone sono caduti fra i 300 e i 350 millimetri di pioggia. Nel 2023, nell’ambito di entrambi gli episodi di maggio, ne caddero in media fra i 400 e i 450. Dunque quello del 18-19 settembre è stato un evento di grandi proporzioni, ma poteva essere subito inquadrato in queste dimensioni? Il cambiamento climatico rende sempre più complicati i modelli previsionali: ma possiamo dimenticarci, in senso ontologico, che tutto questo avviene in una pianura alluvionale dove dal Dopoguerra si è costruito anche troppo seguendo il boom economico? No.

Dati ‘positivi’ nella tragedia: le grandi città (Forlì, Cesena e Ravenna) sono state risparmiate, tutti i sistemi di comunicazione e di allerta hanno funzionato. Ma ci sono dati fortemente negativi: parliamo sempre degli stessi torrenti e fiumi. Delle stesse fragilità: l’Idice, il Senio, il Tramazzo, il Marzeno, il Montone. Si tappa una falla e se ne apre un’altra (l’Idice nel Bolognese, ad esempio, con episodi ciclici ma in punti diversi del 2019, 2023, 2024). Molti lavori sono stati fatti dal maggio 2023 a oggi, ma evidentemente non è bastato. Le casse di espansione sono invocate da tutti, ma necessitano di investimenti decennali. La manutenzione si blocca spesso tra lacci e lacciuoli o per inattività o per conflitti di attribuzione e competenze. Il tema non è tanto il superamento degli argini, ma la tenuta degli argini. La gestione dei canali. Delle fogne. E dei troppi “perché”.