ALESSANDRO CAPORALETTI
Editoriale
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Ricostruire non basta, serve il lavoro

Ricostruire non basta. Non basterà a convincere famiglie strappate alle case e alla vita di sempre a tornare dopo anni di limbo nella terra dove si sono lasciati il cuore e le radici. Per immaginare una vita (vera) oltre il sisma nell’Appennino ferito ci vogliono posti di lavoro, sanità, servizi, a meno di non farne un grande parco giochi a uso e consumo del turista di turno, ma senz’anima, né futuro. C’è una fredda logica anche nei numeri: lo dicono i diciottomila progetti di ricostruzione privata che dopo otto anni ancora mancano all’appello (e chissà se saranno mai presentati), lo dice l’emorragia di residenti che dissangua piccoli e piccolissimi Comuni del cratere, già soggetti da anni a fenomeni di spopolamento e di abbandono. Secondo uno studio pubblicato l’anno scorso da Bankitalia, dal 2016 al 2022 le zone colpite dal terremoto nelle quattro regioni dell’Italia centrale (Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo) hanno perso il 6,3% della popolazione, tre volte di più della media italiana. Il trend è fin troppo chiaro e il buon esempio dato da un imprenditore come Diego Della Valle – che ad Arquata del Tronto, nell’epicentro del dramma, ha portato lavoro per i giovani e uno stabilimento della Tod’s da cento e più posti – è rimasto un caso isolato nel deserto di una terra che rischia di restare senza occasioni. Ma non di soli esempi, buona volontà o coraggio può vivere (o tornare a vivere) il cratere. Lo sa anche Guido Castelli, e non è un caso che nella dicitura di commissario post sisma abbia aggiunto la ripresa economica alla ricostruzione. "Lavoro, imprese, digitale e innovazione sono i pilastri della nostra strategia di rilancio del cratere", ha spiegato. Il piano si chiama Next Appennino e ha già finanziato 1.500 progetti tra piccole imprese e grandi complessi manifatturieri (Ariston, Lube, Sanofi Pasteur). C’è da augurarsi che funzioni davvero. Altrimenti, ricostruzione o meno, il cratere non saprà più rialzarsi.