La vicenda dei carabinieri di Modena, quella di Bazzano, ma anche l’ennesima puntata dell’inchiesta sulla morte di Marco Pantani devono servire, nella loro drammaticità, a riportarci ad alcuni concetti base: non esistono notizie buone o notizie cattive, solo notizie che vanno pubblicate perché di interesse collettivo; non esistono condanne a priori, perché dalle indagini preliminari all’aula di tribunale tutto può cambiare con grande velocità; non esistono rendite di posizione, perché davanti alla legge tutti sono uguali; non esistono storie chiuse senza se e senza ma.
Posti questi paletti, gli unici veri temi rimangono la certezza del diritto. E i tempi della giustizia. Ogni imputato, ma anche ogni vittima di reato e ogni testimone ha diritto a una indagine equilibrata, non infinita e a un processo che non vada alle calende greche. Spesso si accusano i media di imprimere accelerazioni subitanee, ma allo stesso tempo senza determinate e naturali ‘pressioni’ molte storie rischierebbero il dimenticatoio. E ogni storia ha anche diritto a una seconda rilettura, in presenza di fatti nuovi. Ma come si bilanciano esigenze tanto diverse? Bisogna andare alle origini del problema giustizia: aberrazioni giuridiche, proliferazione di cause inutili, carenze degli organici nei tribunali e nelle procure; forze dell’ordine sfiduciate perché molte volte le operazioni finiscono sbriciolate appena si passa al vaglio dei giudici e i malviventi, subito liberati, tornano a delinquere. Tutte facce di un stessa medaglia, tutte facce di un caleidoscopio-giustizia che ancor oggi non dominiamo, ma spesso subiamo.
Ergo? Cautela, ma doverosi approfondimenti. E non dimentichiamoci che anche un’archiviazione può essere letta come una risposta di civiltà.