I Mondiali di basket a Bologna e in Italia. Non è utopia la proposta lanciata da Lorenzo Sassoli de’ Bianchi sul Carlino e arrivata fino a Roma dove il consiglio federale ha dato propulsione all’idea con orizzonte al 2031. Non è utopia, ma potrebbe diventarlo: già era accaduto con le Universiadi, poi con le Olimpiadi, cerchiamo di non replicare un film dal finale triste. Le istituzioni devono crederci davvero e per questo le parole di Regione e Comune di Bologna sono incoraggianti. Ma come?
Avere i mondiali di basket in Italia – pensate a Bologna-Basket city, certo, ma anche a Pesaro – significa non solo ospitare uno spettacolo internazionale; non solo dare spinta al turismo; non solo creare indotto e posto di lavoro; significa, soprattutto, ripensare alle nostre città. Alle sistemazioni e gli alloggi. Ai loro impianti sportivi, patrimonio in primis delle nuove generazioni. Significa uscire dalla linea di galleggiamento, dal piccolo cabotaggio, dal ‘Qui è tutto bellissimo e tutto funziona’ che un po’ è vero, ma può anche diventare una condanna. La forza delle nostre città, che sono città medie o piccole, è quella di aver sempre lottato con i giganti, aver tirato fuori risorse inattese, aver utilizzato creatività. Questa spesso manca, soprattutto dal punto di vista della programmazione e dell’urbanistica: pensiamo all’architettura e al tema stesso delle nuove edificazioni. Quanto poco coraggio, quanta miopia nel confondere abomini di cemento con giuste e ragionate nuove iniziative che diano linfa alle comunità. Il ‘saldo zero’ nell’urbanistica non significa (significherebbe) zero coraggio e zero progetti.
Nella vicina Cremona, una cittadella dello sport e della salute ha ridisegnato una periferia. Sotto le Torri (e buona pace della ‘povera’ Garisenda a rischio crollo) al massimo discutiamo ancora dell’area Staveco, dove liquami e una strada etrusca sottostante renderanno molto complicato anche il ‘nuovo’ (sic!) progetto della cittadella giudiziaria. Tutto questo per dirci cosa. Benissimo i grandi eventi, benissimo la partenza del Tour de France, il Giro d ’Italia, le grandi gare motoristiche e chi più ne ha più ne metta. Ma poche volte si è ragionato sullo sport come a un vero ’trasformatore’ urbano e sociale. Senza bisogno di evocare i pasticciacci cortinese in vista del 2026 (pensate alle follie sulla pista da bob) possiamo però ragionare su strutture e –soprattutto – infrastrutture che restino. Pensiamo a quartieri che davvero vengano rivalutati. E ad amministrazioni che rischino, senza andare in default, magari ascoltando anche le proposte dei privati (meglio se non i soliti noti).