La Beko va avanti senza esitazioni verso i licenziamenti: ad ora è confermato il taglio di 1.935 dipendenti, oltre 700 dei quali lavorano nelle Marche. L'azienda turca di elettrodomestici lo ha confermato in audizione in commissione Attività produttive alla Camera; a metà gennaio è previsto comunque un nuovo tavolo al ministero del Made in Italy ma ad ora non ci sono segnali di retromarcia. Per le Marche tutto questo significa quasi 400 esuberi tra operai (66 a Melano), impiegati e dirigenti (circa 300 tra ridimensionamento degli uffici e chiusura dell'unità di ricerca e sviluppo) a Fabriano, in provincia di Ancona e circa 320 a Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, per la chiusura totale dello stabilimento entro il 2025. Tutto questo è una bomba sociale per un regione dove l'economia non corre, ancora appesantita dalle ferite del terremoto e da un processo di deindustrializzazione che ha colpito proprio il distretto degli elettrodomestici di Fabriano. Da solo, il turismo non basta per mantenere alto il livello della ricchezza prodotta, serve l'industria, anche pesante, e tutto questo nelle Marche si sta disperdendo. Secondo la Uil, gli ultimi dati certificano che nel corso del 2024 in regione si sono persi 18mila posti di lavoro dipendente. Fabriano è stata un riferimento in Europa, numero uno del settore del bianco grazie al gruppo Merloni; qui sono cresciute professionalità qualificate che pian piano si stanno disperdendo. Le Marche quindi devono porre un argine a questa progressiva e costante perdita di posti di lavoro e soprattutto di marchi storici. Il discorso è sempre lo stesso: le multinazionali vedono i marchi italiani come una preda e appena li ottengono spostano altrove le produzioni, mantenendo però gran parte del business sulla forza del nome. Una Regione da sola non può contrastare tutto questo, ma le Marche devono porsi il problema di cosa fare da grandi. Quello che sta succedendo all'ex Whirlpool è l'ennesimo allarme che impone un ragionamento che guardi avanti. Bene, ora con il Governo si cercherà di respingere questo piano (sono coinvolti anche gli stabilimenti turchi basati a Siena e in provincia di Varese), però vanno chiesti anche investimenti o piani di rilancio. Se si crede veramente su questo settore e sull'Italia. Altrimenti tra pochi mesi si tornerà al punto di partenza: stati di crisi e licenziamenti.
EditorialeMarche, l’effetto Beko