SERGIO GIOLI
Editoriale

Le ossa della baronessa

Le verità semplici, razionali, banali, non piacciono a nessuno. Amiamo invece moltissimo i misteri, le trame oscure, gli intrighi, rincorrendo i quali, ovviamente, alla verità vera non si arriva mai. Per questo siamo il paese dei casi irrisolti e delle inchieste infinite.

In Italia la verità non esiste perché in Italia le verità sono tante e ognuno ha una fede incrollabile nella sua. Le verità semplici, razionali, banali, non piacciono a nessuno. Amiamo invece moltissimo i misteri, le trame oscure, gli intrighi, rincorrendo i quali, ovviamente, alla verità vera non si arriva mai. Per questo siamo il paese dei casi irrisolti e delle inchieste infinite. E' notizia di questi giorni la riapertura di una vicenda di 44 anni fa: la morte sui monti Sibillini della baronessa Jeanette Rothschild e della sua segretaria Gabriella Guerin.

Quel giorno, 29 novembre 1980, le due donne avevano deciso di fare un'escursione in quota. Il tempo era infame, imperversava una tormenta di neve. Non tornarono più. Fu trovata la loro auto in perfetto ordine e, in un rifugio, segni di un breve pernottamento e tracce di un fuoco acceso. Più di un anno dopo, in un bosco, riemersero le loro ossa.

Disgrazia? Sequestro? Omicidio? Le indagini non riuscirono a chiarire nulla, anche perché si persero presto in un dedalo di piste. Vennero tirati in ballo, nell'ordine: una rapina miliardaria alla sede romana di Christie's, il cassiere della mafia Pippo Calò, l'omicidio a Londra di un chiacchierato antiquario, la morte sempre a Londra di Roberto Calvi, gli affari di un commerciante brasiliano di diamanti, il cardinale-faccendiere Paul Marcinkus, la scomparsa di Emanuela Orlandi.

Risultato: nel 1989 fu tutto archiviato. Ma poiché, appunto, in Italia la verità non esiste, nulla finisce mai davvero. Ancora oggi, a fasi alterne, si dibatte nelle aule di giustizia sulla colpevolezza di Olindo e Rosa (rei confessi e condannati con sentenza passata in giudicato), e ci si accapiglia sui social e nei salotti tv su Massimo Bossetti (inchiodato dalla prova del Dna e pure lui condannato in Cassazione). Nel 2010 l'allora pm Antonio Ingroia fece riesumare il cadavere del bandito Salvatore Giuliano (morto nel 1950) sospettando che quello nella bara fosse un sosia e che il vero malvivente, ultranovantenne, fosse a spasso in America. Ovviamente si sbagliava. Ma, parafrasando la celebre battuta di un intramontabile western di John Ford, ''qui siamo in Italia, e se la verità contrasta con la leggenda, vince la leggenda''. Si riapre, dunque, il caso Rothschild. Con una novità, tuttavia, che fa ben sperare. Il procuratore di Macerata, vagliati gli elementi in suo possesso, ha spiegato: ''Tenteremo di arrivare a una conclusione che probabilmente non ha nulla a che vedere con gli scenari internazionali ipotizzati ma si trova ancora lì, a Sarnano, dove tutto è successo''. Viva la sincerità.