Nella sfida per le Regionali di metà novembre in Emilia-Romagna, sfida di alto livello con candidati seri come Elena Ugolini e Michele De Pascale, si parlerà soprattutto di un tema: la sanità.
Stupisce, o forse no.
Ma il tema è indicato da entrambi i candidati (la civica pura e l’esponente PD sostenuto dal campo largo) come prioritario. Com’è possibile, se in Emilia-Romagna amministra il centrosinistra che, pertanto, guida proprio le politiche sanitarie? Vuol dire che poi tutto così bene non va? O ricadiamo nella solita logica da bias cognitivo “colpa di Roma” contro “colpa di Bologna”?
Partiamo da alcuni dati. Quando si tratta di fornire ai cittadini le prestazioni essenziali, la nostra Regione è prima in Italia. Lo attesta un monitoraggio della fondazione Gimbe sulla capacità delle Regioni di usare risorse statali per garantire i servizi essenziali, i cosiddetti Lea.
Sappiamo però che non solo di servizi essenziali si vive e molte prestazioni ambulatoriali sono fondamentali per analisi e prevenzione e, spesso, le liste di attesa non garantiscono lo stesso livello di soddisfazione. E ci si deve rivolgere al privato, che poi spesso è accreditato, altrimenti non si porta a casa il risultato. Per intenderci: secondo uno studio Nomisma, su 3,86 milioni di prestazioni ambulatoriali erogate dal privato accreditato in regime di Servizio sanitario nazionale, un milione sono a rischio con i tariffari aggiornati. Nella sola diagnostica, il privato contribuisce al 60 per cento delle risonanze e a oltre la metà degli ecocolordoppler.
Non parliamo poi dei tanti medici che fuggono dalla regione di fronte a compensi inferiori a 10 euro a visita e, viceversa, a gettonisti strapagati in determinati settori.
Dunque, dire che la sanità in Emilia-Romagna non funzioni è falso. Ma dire che sia solo colpa del Governo lo è altrettanto. Ci aspettiamo onestà intellettuale. E un ragionamento serio ad esempio sulle politiche di edilizia sanitaria a partire dagli ultimi 30 anni, sui costi dei Cau (i mini pronti soccorsi con accessi notturni ridotti ma spesa notevole), sulle condizioni di lavoro di pediatri e medici di base, sul non scaricare sui cittadini la diagnosi.