SERGIO GIOLI
Editoriale
Editoriale

La guerra dei sessi

Un'associazione che rappresenta padri separati ha affisso alcuni manifesti per le strade di Bologna. Intento provocatorio, polverone inevitabile. Gli slogan sui manifesti erano di questo tenore: ''Sei un fallito. Se lo dice è violenza'', ''Ti tolgo i figli e ti rovino. Se lo dice è violenza'', ''I figli sono miei perché li ho partoriti io. Se lo dice è violenza''. La polemica è scaturita non tanto dal contenuto quanto dalla provocazione, che consiste nell'aver ricalcato, ribaltando il messaggio, la campagna promossa a suo tempo dalla regione Emilia-Romagna contro la violenza di genere. Gli slogan di allora: ''Se mi lasci ti rovino. Se lo dice è violenza'', ''Per chi ti sei vestita così? Sei proprio una zoccola. Se lo dice è violenza'', ''Sei cretina. Se lo dice è violenza''. La vicesindaca Emily Clancy ha prontamente espresso il suo sdegno nei confronti dell'associazione padri separati promotrice dell'iniziativa: ''Definire questa campagna fuorviante è poco, la definirei uno stravolgimento della realtà. Peccato che il mio rammarico non possa tradursi in un diniego all'affissione''. Il centrodestra ha replicato definendo gravissima la semplice idea di limitare la libertà di espressione di un gruppo di cittadini.

Può darsi che entrambi - Clancy e centrodestra - abbiano una parte di ragione. Di certo, ne hanno una (grande) di torto. E non per ciò che dicono, ma per la trappola in cui cadono e per la dinamica che assecondano e alimentano. Una dinamica di scontro uomo-donna, una guerra dei sessi senza esclusione di colpi, dove si dà per scontato che ci debba essere un vincitore e un vinto. Un modo di affrontare le cose ben lontano da quello che dovrebbe essere il comune sforzo contro la prevaricazione perseguendo l'obiettivo condiviso del rispetto reciproco. Questioni come queste, così enormi, mal si addicono alla cartellonistica stradale, alle grida manzoniane, alle invettive e alle scomuniche. Anche perché gli eccessi chiamano eccessi. Pensiamo agli Stati Uniti e alla parabola del MeToo. Un coraggioso movimento di denuncia e di ribellione, si è via via trasformato in una caccia alle streghe dove un'intervista su un giornale equivale a una condanna, il sospetto è assurto al rango di legge, l'infamia è un marchio che non necessita di prove. Un furore che tutto travolge e tutto brucia, tra gli osanna di politici e intellettuali. Fino a quando, appunto, all'azione non segue la reazione, altrettanto ideologica e cieca. Negli Stati Uniti, al decennio Woke, alla Cancel Culture e alle teorie gender pervasive di ogni aspetto del vivere civile e perfino del linguaggio, ha fatto seguito l'avvento, a furor di popolo, di un presidente rozzo che ha in odio tutto questo e che lo combatte con foga, colpendo indifferentemente i principi giusti e le degenerazioni grottesche.