Editoriale

La bicicletta ha un'anima futurista

Le cronache recenti parlano di un altro ciclista morto. Al momento non si sa di chi sia la colpa, ma si conferma che questa categoria è molto fragile ed esposta. Cosa si aspetta quindi a far rispettare rigorosamente anche ai ciclisti le regole di circolazione come la dotazione delle segnalazioni luminose e sonore, il rispetto dei sensi di marcia, delle corsie preferenziali e dei semafori, i sorpassi ecc.? Anche se dopo un incidente hanno tutta la nostra compassione, quelli che rischiano maggiormente sono loro.

Giuseppe Bonfigli  

Risponde Beppe Boni

Personalmente sono per l'elogio della bicicletta. È un mezzo dinamico, ecologico, che esprime fisicità, forza, velocità. È perfettamente inserita nella cultura futurista di Tommaso Marinetti. Nel 1909 nasceva ufficialmente il Futurismo, il movimento d’avanguardia artistico-letterario, con il famoso Manifesto. Nel maggio dello stesso anno scattava da Milano il primo Giro d’Italia ciclistico. Due eventi che sono legati e che sono cresciuti parallelamente. Il movimento di Marinetti nasceva con l’intenzione di rompere con gli schemi codificati, contro la moderazione, l’equilibrio, e i valori retorici della borghesia benpensante. La bicicletta divenne subito un mezzo accessibile a tutti e assunse un’identificazione di carattere nazional-popolare: non prerogativa di una casta dominante, ma al contrario figlia del coraggio, della fatica, della meritocrazia, della libertà.

Bene, dunque. Ma molti ciclisti che circolano in città spesso (non tutti) interpretano in modo un po' troppo personale e ampio l'idea di libertà sulle due ruote. Pedalano sotto i portici, non sempre sono dotati delle segnalazioni luminose, viaggiano contromano, sfidano le corsie preferenziali. Nella città dei 30 all'ora (solo virtuali) anche ai valorosi delle due ruote urbane si chiede civiltà di circolazione.

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