Editoriale

Il dialetto, una cultura da salvare

Quando penso alla parola dialettale Umarell resa celebre dal blogger Danilo Masotti per indicare gli anziani che guardano i cantieri e che tradotta in italiano significa "omarello", "uomo semplice", sono sempre più convinto che la tradizione del dialetto non deve andare perduta. Una battuta in dialetto bolognese suscita simpatia ovunque, dopo averla tradotta naturalmente, ma anche perché spesso ha un aspetto musicale. So che in alcune scuole della provincia di Bologna si insegna la cultura del dialetto. Ottima iniziativa, ce ne vorrebbero altre.

Valerio Marinelli

Risponde Beppe Boni

Il dialetto racchiude una cultura di saggezza legata ai nostri nonni e ai nonni dei nostri nonni che non deve andare perduta. Nella maggior parte delle famiglie oramai (e per fortuna) si parla correttamente l'italiano, ma nello stesso tempo la tradizione linguistica dialettale va mantenuta viva. Bologna da questo punto di vista è attivissima con compagnie di teatro dialettale, associazioni culturali, artisti come Andrea Mingardi che sa dosare le parole dialettali nei suoi brani mischiandole pure con l'inglese, anche perchè sostiene che lo slang bolognese è perfetto per la musica funky. E se ci pensate è un'intuizione stupenda, come del resto il napoletano stretto calza perfettamente con il ritmo rap. Dunque parliamo italiano ma salviamo il dialetto. Applausi allora alla Regione Emilia Romagna che finanzia per il 2024, con centomila euro, venti progetti per la salvaguardia e la valorizzazione delle lingue locali. Si va dalle raccolte di testimonianze sonore di persone anziane in dialogo con i più giovani ai corsi di dialetto nelle scuole e nelle biblioteche, fino alla promozione della tradizione canora dialettale con video e podcast. «I dialetti - sottolinea l'assessore alla Cultura, Mauro Felicori - fanno parte del patrimonio storico, civile e culturale regionale". Benessum (Benissimo).

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