Editoriale

Calcio e affari, la legge della terza maglia

Osservando una partita di calcio a volte non si riconosce la squadra della propria città in quanto indossa maglie di fantasie diverse per non essere confusa con l'avversaria. Recentemente abbiamo visto il Bologna in una montatura rossa a zig zag e ghirigori, più adatta a delle soubrette che non a degli atleti. Speriamo che il calcio rimanga solo uno sport e non un mezzo per fare lucroso esibizionismo. Atleti vestiti da soubrette non creano emozioni, ma diminuiscono la voglia di andare allo stadio.

Dionigi Ruggeri  

Risponde Beppe Boni

I puristi sbuffano e arricciano il naso, i collezionisti si fregano le mani soddisfatti, le società fanno affari col merchandising. La legge della terza ( o quarta) maglia che ormai è diventata una imperativo categorico per tutte le società di calcio. La seconda è necessaria per differenziarsi eventualmente dalla squadra di casa quando si va in trasferta, la terza risponde ad esigenze di marketing. Ormai vedere le squadre con le maglie originali, pur colonizzate dagli sponsor, è una visione romantica sempre meno frequente. Che bello era applaudire i giocatori del Bologna con la tenuta rossoblù a righe larghe. Altri tempi. Nel calcio attuale le seconde e le terze maglie (una vita fa usate solo in casi eccezionali) rientrano a pieno titolo tra le voci di vendita degli store di tutte le squadre, ecco perché devono essere pubblicizzate. Ovvio che la miglior vetrina è l'uso frequente in campo. I tifosi, un po' disorientati, ne vedono di tutti i colori. I giallorossi vanno in campo con la divisa blu, i rossoneri e i nerazzurri in campo con divise tutte nere, i bianconeri in azzurro. La Fiorentina usa addirittura quattro diversi colori che sono poi i colori dei quattro quartieri della città. E l'idea funziona. Spesso appena il campione di turno si presenta con una maglia nuova nei giorni successivi gli store ne vendono a raffica. E' la dura legge degli affari.

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